Caterina Da Siena

di



La scrittura come mezzo di perfezione


Carattere fiero, indole battagliera, una grande personalità. La sua potenza personale non è paragonabile a quella di nessun’altra donna che durante il medioevo ha detenuto il potere. Debole fisicamente fu di un’irresistibile forza spirituale.

Alcune donne quando hanno espresso la loro volontà lo hanno fatto spesso in modo ambiguo. Sono ricordate per l’emanazione di atti pubblici a favore del popolo ed anche per comportamenti malvagi e senza scrupoli. In ambito politico ordivano trame di palazzo per eliminare fisicamente i rivali dei loro regni.

Secondo la Storia dei Longobardi, Rosmunda avrebbe organizzato la congiura che provocò la morte del marito, il re Alboino. Nella Cronaca del monastero di Cassino
si parla della moglie dell’imperatore Ludovico II che tentò di sedurre il conte palatino promettendogli il titolo imperiale se avesse accettato le sue avances, in caso di rifiuto lo avrebbe fatto uccidere.

Assenti nei documenti di cancelleria, le donne dominano la scena nelle fonti letterarie con immagini che sfumano: sante e pie ed anche terribili e temibili.

Caterina da Siena è citata dalla storiografia letteraria come unico esempio di intellettualità femminile all’interno dell’inaccessibile cultura ecclesiastica, con scritti che rappresentavano per quei tempi una provocazione.

Le vicende umane e l’attività spirituale della Santa senese sono eccezionali in un secolo in cui gli scrittori del ‘300 appaiono meno interessati alle vicende extra municipali. Domina invece una vasta produzione devota entro un orizzonte segnato da inquietudini etico- culturali e politiche della società comunale.

L’ambizioso messaggio di Caterina supera i confini regionali per aprirsi al mondo e battersi per la pace e la salvezza degli uomini.

L’intelligenza ardita, la voglia di egemonia le faranno realizzare cose straordinarie, percorrere vie inesplorate e inaccessibili non solo alle donne di ceti popolari di cui era espressione ma impensabili perfino all’altro clero.

Penultima di venticinque figli di Jacopo Benincasa, Caterina nacque il 25 marzo del 1347. La sua vocazione religiosa accrebbe dopo la morte della sorella Bonaventura e dopo questa perdita espresse il desiderio di entrare nell’Ordine delle Mantellate domenicane. La famiglia sebbene contraria si arrese di fronte alla sua decisione irremovibile.

La giovane dedicherà la vita non solo ad opere assistenziali nei lebbrosari e negli ospedali, sarà anche la portavoce di ideali etico-politici e di riforma della chiesa.

Troppo per una donna che voleva sottrarsi al destino comune delle donne.

La chiesa pensò di avere a che fare con una agitatrice e diffidente nei suoi confronti, l’affidò alla direzione spirituale del dotto frate Raimondo da Capua. Ben presto si strinsero intorno a lei gruppi di seguaci che, catturati da tanto ardore, ne vollero condividere l’operato.

I tempi richiedevano una volontà tenace e una donna che non sapeva leggere, che non era istruita non aveva alcuna chance per imporsi come guida.

Il potere escludeva le donne e non permetteva a nessuna di loro, neanche alla più intelligente, di raggiungere un ruolo preminente.

Sicura dell’appoggio divino si dette alla realizzazione del progetto di riforma delle istituzioni della Chiesa e di pace fra le fazioni in lotta.

Un faro di speranza per gli umili e i potenti. Seguendo le vicende politiche- sociali della sua regione comprese che la comunità cristiana non doveva essere avulsa dal processo reale degli avvenimenti. Nei soggiorni a Firenze, Pisa, Lucca si adoperò per scongiurare situazioni di conflitto.

Riuscì ad evitare che Lucca entrasse nella lega contro il Papa e si fece ambasciatrice di Firenze ad Avignone per ottenere la pace tra la Repubblica Fiorentina e il Pontefice.

Un capolavoro di diplomazia l’intercessione per il ritorno a Roma di Gregorio XI salutato in Italia come una sua grande vittoria. Ad attenderla la guerra più spinosa: lo scisma della Chiesa. Alla morte di Gregorio XI salì al soglio pontificio Urbano VI tra il dissenso dei cardinali elettori (francesi, italiani, un aragonese) favorevoli alla elezione di Clemente VII. Dopo dieci giorni di conclave elessero sì un italiano ma non un romano e neanche uno di loro.

Il popolo si fece sentire con la famosa frase:
Romano o italiano lo volemo!
Caterina si batté per evitare lo scisma e scrisse numerose lettere al papato, alla regina di Napoli, ai cardinali italiani…La lotta per l’unità della Chiesa minò le sue già deboli forze fisiche. Si spostava da un capo all’altro dell’Italia affrontando fatiche indicibili. Dopo un’agonia di quaranta giorni si spense tra atroci sofferenze con la triplice invocazione: “sangue, sangue, sangue”.

Caterina morì il 29 aprile 1380. Aveva ricevuto le stimmate a Pisa nel 1375. È sepolta nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva nel sarcofago marmoreo sotto l’altare maggiore. La sua testa fu portata a Siena nel 1384 ed esposta in una cappella affrescata dal Sodoma sul lato destro della Basilica di San Domenico. Nel Dialogo della Divina Provvidenza dettato nel 1378 a tre discepoli è riversata tutta la sua esperienza mistica. Nelle Lettere si occupa del programma politico religioso.

Si disse che non sapeva leggere né scrivere, lo imparò più tardi, quindi le 383 lettere sono state scritte dall’autrice nel 1370. La prosa di Caterina è un modello inimitabile di scrittura femminile, tutta pervasa di slancio sentimentale dove il linguaggio mistico si alterna con quello domestico popolare. La sua espressione è di una grande tenerezza umana. Passionale e appassionata, la santa patrona d’Italia fu una fine letterata.