Perché le macchine non pensano come noi
Nel numero di marzo de Il Timone, il bravissimo Giacomo Samek Lodovici
ci guida in una riflessione profonda e stimolante sui limiti dell’intelligenza artificiale (IA). L’articolo, intitolato Le cantonate dell’intelligenza artificiale, esplora con chiarezza e rigore filosofico le differenze fondamentali tra l’intelligenza umana e quella artificiale, mettendo in luce errori emblematici che le macchine possono commettere e che rivelano la loro incapacità di comprendere il mondo come fanno gli esseri umani.
Il concetto mentale umano: una capacità unica
Uno dei punti centrali dell’articolo è la capacità umana di formare concetti mentali, una caratteristica che distingue radicalmente l’intelligenza umana da quella artificiale. Come spiegava Aristotele, il concetto mentale è la capacità di astrarre, ovvero di cogliere l’essenza comune di oggetti o fenomeni diversi, andando oltre le loro caratteristiche superficiali. Ad esempio, un bambino che vede autobus di colori, forme e dimensioni diverse riesce a riconoscerli tutti come “autobus” perché è in grado di astrarre il concetto di “veicolo per il trasporto di persone”.
Questa capacità di astrazione è ciò che permette agli esseri umani di comprendere il mondo in modo profondo e flessibile. Non ci limitiamo a osservare i dettagli visivi o le caratteristiche accidentali (come il colore o la forma), ma cogliamo l’essenza di ciò che vediamo. Questo processo mentale è alla base della nostra capacità di apprendere, comunicare e risolvere problemi complessi.
Gli “accidenti” secondo Aristotele
Aristotele, nella sua filosofia, distingue tra l’essenza di un oggetto e i suoi “accidenti“. L’essenza è ciò che definisce un oggetto per quello che è, mentre gli accidenti sono le caratteristiche secondarie che possono variare senza alterare l’identità dell’oggetto. Ad esempio, un autobus può essere giallo, verde o blu (accidenti), ma resta comunque un autobus perché la sua essenza – essere un veicolo per il trasporto di persone – non cambia.
L’intelligenza artificiale, invece, non è in grado di distinguere tra essenza e accidenti. Le reti neurali, che sono alla base di molte applicazioni di IA, si basano su associazioni statistiche tra i dati. Quando una macchina “impara” a riconoscere un oggetto, lo fa analizzando milioni di immagini e identificando schemi ricorrenti nei pixel. Tuttavia, questa analisi è puramente superficiale: la macchina non comprende il significato di ciò che vede. Per questo motivo, può focalizzarsi su dettagli irrilevanti, come il colore o le strisce di un’immagine, e commettere errori clamorosi, come scambiare una sequenza di strisce gialle e nere per uno scuolabus.
L’incapacità di astrazione delle macchine
Come sottolinea Lodovici, l’incapacità delle macchine di astrarre è il limite fondamentale dell’intelligenza artificiale. Le reti neurali non possiedono un “concetto mentale” e non possono cogliere l’essenza degli oggetti o dei fenomeni. Questo le rende incapaci di generalizzare in modo significativo o di adattarsi a situazioni nuove che non rientrano nei dati su cui sono state addestrate.
Ad esempio, un essere umano può riconoscere un autobus anche se è parzialmente coperto da un albero o se ha un design insolito, perché il suo cervello è in grado di astrarre il concetto di “autobus” e di applicarlo a contesti diversi. Una macchina, invece, potrebbe fallire in queste situazioni perché si basa esclusivamente su schemi visivi predefiniti.
Le implicazioni filosofiche ed etiche
La riflessione di Lodovici ci invita a considerare le implicazioni filosofiche ed etiche di questi limiti. Se le macchine non comprendono il mondo come noi, possiamo davvero affidare loro compiti complessi o decisioni critiche? La risposta richiede prudenza. L’intelligenza artificiale è uno strumento potente, ma non può sostituire l’intelligenza umana, che è qualitativamente superiore grazie alla capacità di astrazione e alla comprensione del significato.
In conclusione, l’articolo di Lodovici è un invito a riflettere sul rapporto tra uomo e macchina e sul futuro dell’intelligenza artificiale.
Come ci ricorda Aristotele, la capacità di cogliere l’essenza delle cose è ciò che rende unica l’intelligenza umana. Le macchine, per quanto avanzate, restano strumenti privi di comprensione reale. Questo non significa che dobbiamo rinunciare all’IA, ma che dobbiamo usarla con intelligenza, riconoscendone i limiti e valorizzando ciò che ci rende umani.