Il romanzo di Marcello Vitale a mio avviso non è un “giallo”, non è un “legal thriller”, è
qualcosa di più in cui il protagonista principale e quelli secondari, parlano dell’uomo in
tutte le sue declinazioni esistenziali.
Al di là, perciò, della storia professionale e dei casi giudiziari che si intrecciano nel
romanzo, ho molto apprezzato gli spunti che vengono fuori nei pensieri dei vari
personaggi.
Marcello Vitale ha una particolare sensibilità e affinità con il mondo del teatro che più
volte richiama nel suo romanzo.
Avevo già percepito questa propensione nel precedente romanzo che ho letto e
presentato a Salerno: “la bolgia dei dannati”.
In questo romanzo, ultimo di una trilogia, troviamo il “teatro” sul pianerottolo di casa.
“Sipario che quando lo sollevi ti scaraventa di botto fuori dal teatro di casa”.
E poi ancora nei pensieri del Procuratore Raselli che riflette “vivo come in un film: io
persona sono da una parte e io attore dall’altra”.
Il Giudice è l’attore, colui che indossa una maschera, diverso dalla persona che vuole
essere “finalmente un UOMO NORMALE per strada tra la gente”.
E vuole essere “finalmente” perché evidentemente da Giudice sente il peso delle
responsabilità; sente quello che i francesi hanno chiamato travail per rendere bene il
senso del travaglio che comporta ogni attività lavorativa.
E “nonostante Procuratore intende rimanere una PERSONA NORMALE” proprio a
rimarcare che è il “Procuratore” che gli impedisca la sua “normalità” (nonostante).
Allora di questo personaggio non mi interessa l’interrogatorio nel quale “omette”
l’esclamazione oppure “ritarda” l’iscrizione nel registro reati; questo lo lascio al
“nonostante” e vado verso il “finalmente”.
Da Procuratore egli si esibisce nel “teatro” del Bar del Tribunale; partecipa al “processo
teatro solenne con gli attori in toga”.
Da persona normale partecipa ad altre opere teatrali: in famiglia con “il figlio terzo
attore della compagnia “famiglia””; percepisce da uomo e non da Procuratore che “il
teatro si è ingrandito: la vita regista e sceneggiatrice assieme della vicenda(tragedia) in
cui è rimasta ingabbiata per sempre Alessandra Palmisano”, una tragedia in cui manca
“l’altro attore principale (l’assassino)” ; gli sembra di vedere un film di Nanni Moretti
“la stanza del figlio” e, soprattutto gli sembra di camminare su uno “specchio inclinato
come in un film surreale”.
Ecco perché a me del libro piace il protagonista quando “finalmente” agisce e pensa da
normale.
Mi piace quando pensa che “l’amore è una esperienza frutto di follia indispensabile a
tutte le età”, follia che non può permettersi il Procuratore.
Mi piace quando afferma che “l’imprevedibilità fa parte della vita” anche qui concetto
che non va a braccetto con il suo lavoro.
E mi piace quando riflette su “i poveri che sono invisibili, la gente non li vuole vedere”.
I poveri della città del nord in cui ha sede la sua Procura diversi da quelli dei paesi della
sua Calabria che comunque hanno sempre qualcuno che li pensa, che li conosce per
strada e li saluta; per intenderci i poveri di Rasselli sono quelli di Chaplin in “luci della
città”.
E poi c’è il padre.
Mi verrebbe da dire “nonostante Procuratore” è anche il padre di un figlio con il quale
comunica poco, ma del quale vive e soffre i sentimenti.
Un padre rispettoso che controlla ma non opprime un figlio che vive la sua realtà
diversa, per il naturale salto generazionale, dalla sua.
Egli accetta la lezione del figlio sul suo modo di relazionarsi e di comunicare e si
rincuora di sentirgli dire che non è “per nulla isolato come voi all’esterno pensate”.
Egli sa bene che da contemporaneo non è in grado di capire le trasformazioni sociali e
culturali che sono intervenute, per di più con la rapidità che è stata introdotta dalla
rivoluzione telematica.
E sa anche che il figlio è maschio e quindi a differenza della “donna è duttile, flessibile;
l’uomo è tetragono, tetro, portatore di destini, di doveri, di guerra”; “l’uomo è ondivago,
gira intorno al problema, non si decide; la donna è decisionista, zac”.
Dell’uomo di legge, del Procuratore, mi è piaciuta la riflessione che il protagonista fa
“nonostante Procuratore” e forse perché “finalmente un UOMO NORMALE per strada tra la gente”: “qualche volta l’applicazione rigida di una norma può diventare un’ingiustizia”.
L’eterno conflitto tra Legge e Giustizia, il Nomos Basileus, la Legge Sovrana.
Un conflitto che il Giudice vive perché costretto ad applicare comunque la norma anche
se ingiusta e che quindi gli fa vivere il peso di essere Procuratore.
Complimenti a Marcello che ci ha dato un’opera importante, densa di contenuti e
soprattutto di sentimenti.

nella foto Marcello Vitale

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