Nel contesto forense, la testimonianza oculare è spesso considerata una prova cardine. In realtà la psicologia della testimonianza evidenzia come i ricordi non siano perfette fotografie degli eventi, ma come il processo di codifica, immagazzinamento e recupero dei ricordi sia soggetto a distorsioni. Non si avrà quindi mai una ricostruzione identica al fatto storico, ma un insieme di elementi creati per colmare fallacie logiche e temporali strutturate sulla base del ricordo emotivo.
La rievocazione di un ricordo è caratterizzata da distorsioni, lacune, inserimenti di nuove informazioni. La memoria episodica, responsabile del ricordo di eventi specifici, non opera infatti come una riproduzione fedele, ma è frutto di un processo ricostruttivo e dinamico. Ogni volta che un individuo rievoca un evento, non sta semplicemente “richiamando” un file immutabile, ma sta attivamente ricostruendo l’esperienza basandosi su tracce mnestiche incomplete, schemi cognitivi preesistenti e nuove informazioni acquisite post-evento. Questo processo di riconsolidamento della memoria rende il ricordo vulnerabile a modifiche e distorsioni ad ogni rievocazione. Se ciò accade per qualsiasi tipologia di ricordo, si pensi a quanto possa accadere in contesti ad alto impatto emotivo come un crimine o un incidente. Eventi caratterizzati da elevato stress psicofisico o trauma hanno infatti un impatto significativo sui processi di memoria, in particolare sulla fase di codifica. Può presentarsi così quello che è definito come “Effetto tunnel della memoria” (Weapon Focus): in situazioni di pericolo, l’attenzione del testimone tende a focalizzarsi intensamente sull’elemento più minaccioso, a discapito della codifica di dettagli periferici o dell’identificazione del perpetratore. Questo è un esempio di selezione attentiva indotta dallo stress. Il trauma può portare inoltre a una codifica frammentata degli eventi, con interruzioni nella sequenza temporale o nella coerenza narrativa. Fenomeni dissociativi possono ulteriormente compromettere la capacità di integrazione coerente dell’esperienza.
Il tempo è un altro fattore critico che influisce sulla durata delle tracce mnestiche. Il decadimento della memoria si riferisce alla progressiva perdita di informazioni mnestiche non rievocate o rinforzate. Questo fenomeno è spesso accelerato dall’interferenza, un meccanismo per cui l’apprendimento di nuove informazioni (interferenza retroattiva) o precedenti (interferenza proattiva) ostacola il recupero di ricordi specifici. In contesti forensi, la latenza tra l’evento e la testimonianza può essere considerevole, esponendo il ricordo a significativi processi di decadimento e interferenza.
Il costrutto della suggeribilità della memoria evidenzia inoltre come i ricordi possano essere alterati o addirittura impiantati attraverso informazioni fuorvianti o suggestive fornite post-evento. Questo è particolarmente rilevante per la psicologia della testimonianza. Possiamo avere un’informazione fuorviante post-evento (Misinformation Effect) ossia l’esposizione a dettagli errati dopo un evento può integrarsi nel ricordo originale, portando a distorsioni significative. Le domande suggestive poste durante l’interrogatorio o l’esposizione a resoconti mediatici possono innescare questo effetto. In casi estremi è possibile indurre la formazione di falsi ricordi, ovvero ricordi dettagliati di eventi che non sono mai accaduti. Questo fenomeno è favorito da tecniche di interrogatorio pressanti, ripetute domande suggestive o l’utilizzo di informazioni non veritiere. La base di questa vulnerabilità risiede nella natura schematica della memoria: quando recuperiamo un ricordo, riempiamo le lacune con informazioni coerenti con i nostri schemi cognitivi o con suggerimenti esterni, senza esserne consapevoli.
Altro elemento di primaria importanza concerne la frammentazione del ricordo in caso di trauma che comporta lacune temporali e ricordi confusi in merito a specifiche sequenze degli eventi. Con lo scorrere del tempo i ricordi tendono a sbiadire, si confondono se non addirittura vengono sostituiti da falsi ricordi. Questo fenomeno è noto come “decadimento della memoria” che comporta un deterioramento delle tracce mnestiche e può portare alla creazione di una versione imprecisa dell’evento. In un contesto giudiziario, ove le indagini possono durare anche anni, il fattore tempo può diventare un elemento di criticità per l’accuratezza della testimonianza.
In un’epoca in cui l’accuratezza delle prove è di primaria importanza, il ruolo dello psicologo forense diventa cruciale al fine di fornire strumenti e conoscenze che permettano di navigare la complessità della memoria umana, distinguendo tra il ricordo genuino e ciò che potrebbe essere stato influenzato, per garantire che la giustizia non si basi su una “regina delle prove” che, a volte, può essere ingannata. Lo psicologo forense inoltre fornisce competenze specialistiche per analizzare la compatibilità delle testimonianze con i principi della psicologia della memoria, identificando indicatori di suggestione, incongruenze o la probabilità di falsi ricordi.
La consapevolezza di queste fragilità cognitive è imperativa per i professionisti del diritto. Le linee guida per l’interrogatorio dei testimoni, specialmente quelli considerati “vulnerabili” (minori, vittime di trauma), devono basarsi su principi psicologici validati scientificamente. Interrogatori basati sull’evidenza: l’adozione di protocolli di interrogatorio come l’Intervista Cognitiva o il NICHD Protocol è cruciale. Questi protocolli minimizzano le domande suggestive, incoraggiano il racconto libero e permettono di massimizzare il recupero di informazioni accurate riducendo il rischio di contaminazione. Nel processo di Valutazione della credibilità e della non attendibilità è fondamentale distinguere tra la credibilità del testimone (la sua onestà percepita) e l’attendibilità della testimonianza (l’accuratezza oggettiva del ricordo). Solo quest’ultima può essere oggetto di analisi psicologica forense.

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