Quando si parla di documenti dell’Alto Medioevo è opportuno analizzarli sempre con massima attenzione, poiché possono contenere delle “manomissioni” di secoli successivi, come il caso di una famosa donazione ascolana. Questa appartiene al fondo Capitolare dell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno. Si tratta della donazione da parte del comes della città Ludugari al vescovo di Ascoli. Il documento si data intorno alla seconda metà del IX secolo. Il documento originale pergamenaceo risulta pesantemente danneggiato con una parte quasi illeggibile, questa però la si può riprendere da una copia Cinquecentesca. La copia è conservata nella medesima cartella dell’originale. Il documento riporta la data 8741. Ludugari, comes della città di Ascoli, dona alla chiesa matrice, costituita in episcopatu asculano, al vescovo Iustolfo e ai vescovi che lo succederanno alcune, sue proprietà fondiarie per un totale di 3550 moggi. Leggendo il documento ci si rende, però, immediatamente conto di come la collocazione temporale fornita dalla data sia del tutto erronea. La donazione venne, infatti, confermata da Carlo Magno, perciò la data è da spostare attorno all’800. Per dirimere la questione ci sovviene in ausilio la descrizione della copia Cinquecentesca presente nell’inventario dell’Archivio di Ascoli: «Copia di donazione fatta alla Chiesa di Ascoli e per essa al Vescovo Iustolfo di 3550 moggia di terreno questa donazione venne fatta da Ludighero Conte di Ascoli e confermata da Carlo Magno e Pipino suo figlio anche da Vinigisio Duca di Spoleto. L’atto di Ludigaro venne rogato da Deifobo di Giacomo Notaro di Ascoli nel 1501. La donazione di Carlo Magno e Pipino del 16 e 18 aprile 798 che concorda con l’anno 26 del Regno di Carlo e 18 di quello di Pipino nonché dell’8 del Duca Vinigisio e della VI Indizione che allora correva. NB. Veggansi in relazione a questa pergamena le osservazioni critiche fatte dal T. Priore Pastore e che esistono dentro la pergamena stessa». Il vescovo Iustalfo da in cambio a Ludugari alcune proprietà dell’episcopio sia all’interno della Città che fuori. Tra queste anche la curtis de Patregano fuori porta Solestà. Tale luogo però nel secolo successivo tornò sotto all’episcopato e venne poi donato ai francescani. Per lungo tempo la storiografia locale ascolana ha dibattuto su quale fosse il convento Francescano più antico della Città, senza però arrivare di fatto, ad una soluzione. Gli storici tra i più antichi hanno sempre inserito l’eremo francescano sul Monte San Marco, il convento di San Savino e l’eremo di San Lorenzo alle Piagge2. Però gli storici nell’annoverare tali strutture commettono un gran errore, poiché esse sono tutte di piccolissime dimensioni e potevano giusto fungere da romitorio per i frati, ma sicuramente non potevano essere veri e propri conventi. I documenti che testimoniano ciò presenti nell’Archivio di Stato di Ascoli e in parte riportati in varie sue pubblicazioni da Giacinto Pagnani sono molto vetusti, iniziano infatti nel 1237, 22 anni dopo la venuta di San Francesco in Ascoli e 11 anni dopo la sua morte. Agli inizi del 1237 una certa «Beldea del fu Ruggero de Fazano»3 lasciò in dono un’oncia d’oro ai Frati Minori de Esculo. Si è persa ormai memoria di quale sia tale luogo, ma doveva sicuramente trovarsi all’interno della città di Ascoli. La storiografia locale ha collocato tale edificio nei pressi di Ponte Maggiore, al di là del fiume Tronto, dove il viadotto riceve le acque dal Castellano4. La scoperta del luogo esatto è stata però fatta Pagnani andando a visionare la documentazione appartenente all’abazia di Fiastra e conservata presso l’Archivio di Stato di Roma5. Le fotografie delle due pergamene, entrambe in un elegante protogotica notarile, che riportano l’atto di vendita del convento da parte dei frati per trasferirsi dentro le mura, sono riportate dal medesimo storico nel volume San Francesco d’Assisi e Ascoli Piceno. La prima pergamena datata 10 ottobre 1258, riporta che i frati eleggono un loro procuratore (una sorta di rappresentante legale) che vada a trattare la vendita del convento6. La scelta del rappresentante viene fatta direttamente dal superiore, frate Umile, con l’avallo degli altri: «Breve recordationis qualiter nos frater Humilis guardianus fratrum Minorum et conventus de Esculo…yconomum ac procuratorem te dominum Tomasium Saraceni»7. Come si è detto in precedenza la decisione del superiore fu avallata dagli “anziani” del convento, rispettivamente: frate Corrado vicario, frate Berardo, frate Paolo Rainaldi, frate Gentile, frate Benvenuto de Murro8, frate Filippo de Padua, frate Marode de Monte Sancte Marie9, frate Antonio de Fornace, frate Deutesalvi, frate Pietro Bruni, frate Egidio, frate Adiuto, frate Gualtiero, frate Albertino, frate Giovanni, frate Petruccio, frate Cagnuccio, frate Salino e frate Pasquale da Casignano10.
Dopo questa breve digressione sul luogo oggetto della donazione andato secoli dopo sotto i francescani, è opportuno tornare alla donazione stessa. Uno dei contraenti dell’atto, il comes Ludugari, non risulta essere noto alle cronache storiche, però l’onomastica e la collocazione temporale ci permettono di avvicinarlo a una gens nobiliare longobarda. Mentre per quanto concerne il vescovo Iustolfo, egli è ben conosciuto dai documenti coevi. L’atto ha la forma di una permuta. Esso si configura come una prestaria nell’ambito della contrattistica medievale. L’atto è da collocare nella risoluzione delle pretese del fisco medievale, ove i proprietari preferivano cedere le proprie terre alle chiese, chiedendoli poi a quest’ultime in affitto, sicuramente inferiore alle tasse che avrebbero dovuto pagarci. La redazione dell’atto, sia nella partizione che nelle formule diplomatiche, è stata condotta nel rispetto e fedeltà sostanziali delle norme diplomatiche degli atti coevi del Ducato di Spoleto. Lo studioso Serafino Prete colloca la redazione del documento intorno al 798. Ciò che però mette in serio dubbio l’autenticità dell’atto è la doppia cronologia, quella del protocollo e dell’escatocollo. Il fatto che una delle prime date che compaiono nel documento lo vadano a collocare a quasi cento anni di distanza dalla reale redazione dell’atto ci porta a pensare che possa essere stato falsificato o manomesso nel secolo successivo alla redazione.
1 Archivio Capitolare di Ascoli Piceno, Cartella Diplomatica A, int. 1.
2 G. Pagnani, I viaggi di S. Francesco d’Assisi nelle Marche, Milano, A. Giuffrè, 1962, pp. 50-56.
3 Ivi., p. 53.
4 Bullarium Franciscanum, II, Roma, Sbaraglia, 1761, p. 22.
5 G. Pagnani, San Francesco d’Assisi e Ascoli Piceno, Ripatransone, Maroni, 1983.
6 Nel documento è riportato il nome del procuratore: Tommaso Saraceni.
7 G. Pagnani, San Francesco, cit., p. 23.
8 Murro era il nome della cittadina di Morrovalle nel maceratese.
9 Ci si riferisce a Santa Maria in Lapide a Montemonaco.
10 Ci si riferisce alla vicina Castignano.