L’era dell’iperconnessione

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L’era contemporanea è iperconnessa, virtualmente globalizzata e la nuova generazione viene definita come quella dei “mobile born”. Spesso si parla di “nativi digitali”, bambini che si interfacciano sin dalla nascita alla tecnologia avanzata, in contrapposizione alle precedenti generazioni analogiche.
Studi di imaging cerebrale mostrano che l’utilizzo di dispositivi digitali sin dai primi mesi di vita sviluppa il cervello in maniera peculiare. Il cambiamento risulta quindi essere di natura antropologica e non solo sociale.

L’apprendimento, base fondante delle differenti teorie dell’istruzione che si sono succedute nel corso del tempo, è un processo attraverso cui nuove conoscenze vengono acquisite ed integrate con quelle già in possesso. Tale processo è dipendente: dall’ecologia di sistema in cui l’individuo vive; dalle caratteristiche cognitive e personologiche del singolo; dagli stili di apprendimento; dalle strategie di coping, ovvero dagli sforzi mentali e comportamentali messi in atto dall’individuo per fronteggiare difficoltà sia di ordine interno che di ordine esterno; dalle strategie di mastery, intendendo con esse l’attività autoriflessiva e le strategie di padroneggiamento; dalla teoria della mente, ossia la capacità di rappresentarsi eventi mentali, di attribuire a sé e gli altri gli stati mentali, e di prevedere e spiegare il comportamento manifesto sulla base di questi dati.
Dobbiamo immaginare l’apprendimento come un processo dinamico, in continua mutazione e mai costante in quanto influenzato dalle esperienze di vita che modificano la visione e l’approccio che il soggetto ha al mondo, inevitabilmente condizionati dall’ambiente culturale e dallo stato emotivo.

Nella scuola italiana ancora troppo spesso, in alcune realtà, il modello ricalcato è quello statico pertanto, i bambini che entrano in questo circuito, sono subitaneamente catapultati in un’involuzione culturale tramite il distacco dalla realtà in cui sono immersi. Il paradosso concerne il fatto che i giovani, oggi, per vivere un’esperienza come reale, necessitano di farla passare dal virtuale e, nel momento in cui entrano nel mondo della scuola, si trovano a doversi confrontare con la classe docente più vecchia d’Europa e non aggiornata, in molti casi, non solo rispetto alle evoluzioni tecnologiche, ma anche a quelle sociali.
Questo divario non rende identificabili, da parte del corpo docente, quei segnali che potrebbero far comprendere che i propri alunni sono ad esempio coinvolti in giochi online pericolosi come le “challenge”, in quanto il comportamento di questi viene osservato con un occhio atto a cogliere i comportamenti appartenenti alle generazioni antecedenti, quelle analogiche.


I cambiamenti organizzativi degli ultimi anni, legati sia dall’emergere di un nuovo ambiente economico a livello globale, che all’introduzione di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), hanno sottolineato la centralità delle nuove tecnologie nella condivisione e nella gestione delle conoscenze, e pratiche organizzative sempre più eterogenee. Tutto ciò è essenziale che venga compreso per far sì che, la socialità a livello di social, non prenda il sopravvento su quella ad personam. I social hanno un potere di coercizione maggiore rispetto all’interazione “face to face” in quanto in grado di attivare in maniera più forte differenti aree psichiche e convergendo in tal modo, proprio per la tipologia di stimolazione, l’attenzione dei soggetti. L’introduzione di tecnologie che permettono a gruppi disomogenei di attori di interagire senza essere fisicamente vicini, suggerisce nuove ed inesplorate dimensioni dei processi di interazione, comunicazione e apprendimento. Solo comprendendo la socializzazione e la comunicazione digitale l’adulto può fornire gli strumenti critici al bambino per tutelarsi dai rischi della rete.