Nel panorama contemporaneo, in cui la creatività sembra sempre più spesso delegata alle macchine, l’opera di Hypnos assume il valore di un atto di resistenza e di consapevolezza. Michael’s Gate non è solo un esperimento estetico, ma un manifesto dell’algoretica: la ricerca di un equilibrio tra tecnologia e umanità, tra codice e coscienza.
Inserendo il proprio DNA all’interno dell’opera, Hypnos restituisce all’arte ciò che la rivoluzione digitale rischia di cancellare: la presenza irripetibile dell’autore. Ogni frammento biologico diventa segno di responsabilità, testimonianza di un’appartenenza. In un mondo di copie infinite e algoritmi impersonali, l’artista riafferma la centralità della vita, del limite, dell’imperfezione umana.
L’etica incarnata nel diritto
L’azione di Hypnos trova corrispondenze ideali nelle norme che, da più di un secolo, definiscono la dignità dell’autorialità e la tutela dell’identità umana.
1. La Convenzione di Berna (1886) sancisce che il diritto d’autore appartiene solo a un essere umano. È la radice giuridica di ogni discorso sull’autenticità creativa. Michael’s Gate ne rappresenta la materializzazione poetica: l’opera è firmata non da un segno, ma da un corpo.
2. L’Accordo TRIPS (1994) riconosce la proprietà intellettuale come espressione della persona. Hypnos trasforma questo principio in materia sensibile: la singolarità biologica diventa simbolo di un’identità creativa che nessuna macchina può duplicare.
3. Il Regolamento (UE) 2016/679 – GDPR considera il DNA un dato personale di natura sensibile e, per questo, meritevole della massima tutela. In questa prospettiva, l’opera di Hypnos non è soltanto una scultura o un concetto, ma un atto di difesa della vita come spazio etico inviolabile.
4. La Convenzione 108+ del Consiglio d’Europa introduce il principio di responsabilità algoritmica, chiedendo trasparenza e tracciabilità nelle decisioni automatizzate. È il riflesso giuridico del gesto artistico di Hypnos: ogni sistema, ogni creazione digitale, deve portare memoria del suo autore e del suo fine.
Dalla norma all’etica
In Michael’s Gate, queste regole si trasformano in sostanza estetica. Hypnos non cita il diritto: lo incarna. L’opera diventa il punto d’incontro fra biologia, etica e tecnologia.
Il DNA, con la sua irripetibilità, diventa la metafora di una nuova responsabilità creativa: quella che chiede all’intelligenza artificiale di riconoscere il valore della persona che la genera, la guida, la utilizza.
Un’eredità per l’algoretica
Il pensiero di Paolo Benanti, che definisce l’algoretica come l’etica degli algoritmi, trova in Michael’s Gate una traduzione concreta. Dove il teologo indica la necessità di dare coscienza morale alle macchine, l’artista propone un gesto fisico e simbolico che restituisce all’umano la propria centralità.
In questo senso, Michael’s Gate è un monumento all’algoretica: un’opera che unisce filosofia, diritto e biologia in un’unica dichiarazione di principio. Ogni legge citata – dalla Convenzione di Berna al GDPR – diventa una pietra fondativa di questo edificio concettuale, dove l’etica si fa struttura e l’identità si fa garanzia.
Alla radice di tutto resta un’idea semplice e radicale: nessun algoritmo può sostituire l’impronta di un essere umano. E finché ci sarà un autore disposto a mettere se stesso, interamente, dentro la propria opera, la tecnologia resterà strumento e non destino.

