NO GRAZIE, MANGIO DA SOLO

di


Cosa c’è di più sociale dell’atto di mangiare? Poche cose.

Molte persone trovano difficoltà nello stare seduti a ristorante in un tavolo singolo.

Questo atto umano che si perde nella notte dei tempi, laddove si consumasse soli, è tabù o libertà?

Sembrerà strano da sentire ma molte ricerche indicano, come uno dei principali motivi per cui ancora molte persone rifuggono dal mangiare sole, la pressione sociale. Il timore di essere osservati, percepiti senza compagnie o amicizie, figurare esclusi dal gruppo sociale o passare per indesiderati, possono essere motivazioni responsabili (più o meno inconsce) di ansia e timore del giudizio altrui.

Il valore storico e simbolico attribuito al cibo ed al suo consumo o a i relativi momenti di convivialità, socialità, condivisione, festa, amicizia e legàmi non aiuta, in questo senso, chi è particolarmente sensibile al giudizio terzo o alla solitudine.

Se vogliamo metterci la briscola, possiamo coinvolgere pure il disagio che si può vivere nel confronto con se stessi. Per questi ultimi, il silenzio assordante del mondo interiore o degli ingredienti già descritti, può originare un notevole malessere. Molte persone hanno ancora bisogno di distrarre la propria interiorità attraverso: attività frenetiche e anneganti (i pensieri), eccesso di connessione sociale, fuga da qualche parte che li tenga lontani, con ingannevole e autosabotante elusione, da se stessi.

Se una cosa di noi non funziona quindi, ma ci infastidisce non poterla governare, proviamo a cambiare l’ottica dalla quale la si guarda; al fine di renderla se non un’ arte gestionale, un’opportunità di crescita personale, di sana riflessione e di confidenza con il proprio io. Tanto i conti col tuo IO, prima o poi in un qualche modo li devi fare. Puoi fuggire da qualcosa o qualcuno. Non da te stessa/o per sempre. E’ un ombra con la quale è meglio imparare a convivere.

Ad esempio, se ribaltiamo l’ottica, si noterà che anche chi è in compagnia vivrà momenti d’imbarazzo per quel che dicono i commensali. Si vedranno, coppie scoppiate dover sopportare imbarazzanti silenzi. Si vedranno persone dal sorriso digrignato e forzoso maledire l’appuntamento preso con altri esseri umani maldigeribili. Si vedrà gente costretta alla compagnia sgradita ma d’obbligo di frequenza per N motivi…e così via.

Allora perché non concentrarsi sul piacere concesso dagli organi sensoriali, godendo della libertà di gestire in autonomia quello spazio temporale dedicato a se stessi, nel quale ritrovare tutto un mondo interiore fatto di ricordi, riflessioni, osservazioni, rassicurazioni, gusti nuovi o rassicuranti perché legati a momenti indimenticabili, riconducibili. Insomma una rivoluzione gentile rivolta alla scoperta del bello di sé.

Un tale allenamento protratto nel tempo, fino a comporre un collage di esperienze ora conosciute e non più oscure e disagevoli, spingerà verso una nuova consapevolezza e, ad esempio, al comprendere quanto il giudizio di chi pare felice a tavola con altri (mentre vorrebbe scappare) o di chi si è sposato male vivendo nelle frustrazioni è inutile.

Meglio essere una persona che sceglie la solitudine come ristoro morale e introspettivo.

Apparirà in tal modo un caleidoscopio di immagini pittoresche, umanità grottesca e variopinta, facendo sembrare tutto più leggero.

Allora, ciò che pareva pauroso perderà forza. Mettere un po’ di distanza emotiva fra noi e il mondo non è poi così male…in un mondo iperconnesso e invasivo qual’è l’attuale.

Frenesia contemporanea, solitudine malsana, giudizio degli altri, ansia, stress, egoismo sociale, egocentrismo altrui…

Bisogna farli morire di fame.

.