Terzo mandato, la Lega incassa un’altra sconfitta. E il centrodestra scricchiola



ROMA – Il tentativo della Lega di aprire alla possibilità di un terzo mandato consecutivo per i presidenti di Regione si è scontrato ancora una volta con un muro invalicabile. In Commissione Affari Costituzionali al Senato, l’emendamento proposto dal Carroccio è stato respinto con 15 voti contrari, 5 favorevoli e 2 astensioni. Uno schiaffo politico che riaccende le tensioni interne alla maggioranza di governo e solleva interrogativi sull’unità del centrodestra in vista delle prossime elezioni regionali.


L’emendamento, presentato dal senatore leghista Paolo Tosato, mirava a modificare la legge del 2004 che impone il limite di due mandati consecutivi ai governatori, proponendo di estenderlo a tre. Una modifica che avrebbe consentito a figure di peso come Luca Zaia (Veneto) e Attilio Fontana (Lombardia) di ricandidarsi nel 2025. Ma la proposta si è arenata: solo cinque i voti a favore (Lega, Italia Viva, Autonomie), due astensioni tra le fila di Fratelli d’Italia (Balboni e Matera) e un blocco compatto di voti contrari che ha unito Pd, M5S, Forza Italia e altri partiti.


Per la Lega si tratta della quinta bocciatura sul tema, un chiaro segnale che anche all’interno della coalizione il consenso su questa modifica non esiste. Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali, ha reagito con amarezza: «È un’occasione mancata. Non mi è piaciuto il muro eretto da Forza Italia, mentre registro con interesse l’astensione di Fratelli d’Italia».

Dietro la proposta c’è la volontà di difendere territori amministrati con ampio consenso e continuare l’esperienza di leadership locale in regioni cruciali. Ma l’ostilità di Forza Italia e la cautela di FdI hanno tagliato le gambe all’iniziativa.


Il voto ha rivelato più di quanto si volesse mostrare. Forza Italia, per bocca del vicepremier Antonio Tajani, ha ribadito che il terzo mandato «non è previsto nel programma di governo», sottolineando la necessità di non spaccare la maggioranza su un tema così delicato. L’astensione di due senatori meloniani ha invece confermato la linea prudente di Fratelli d’Italia: evitare un sì pieno, ma lasciare aperto uno spiraglio per future mediazioni.

La Lega, isolata, non nasconde il disappunto. Calderoli ha evocato “l’autonomia delle Regioni” e il diritto degli elettori “di poter scegliere ancora chi ha governato bene”.


Per le opposizioni, la bocciatura dell’emendamento è un segnale positivo. Francesco Boccia (Pd) parla di «una maggioranza paralizzata», mentre Alessandra Maiorino (M5S) giudica «penosa» la gestione della proposta, definendola “una forzatura su misura per i presidenti uscenti”.

Non mancano le accuse di incoerenza: il Pd ricorda che Zaia fu tra i primi sostenitori del limite ai mandati, mentre oggi sarebbe tra i principali beneficiari della sua rimozione. Un cortocircuito che alimenta le critiche e riapre il dibattito sulla coerenza politica nelle riforme istituzionali.


Con le urne che si avvicinano in Veneto, Lombardia e Campania, la mancata approvazione del terzo mandato rimescola le carte. Se Zaia e Fontana non potranno ricandidarsi, la Lega sarà chiamata a trovare volti nuovi, rischiando di perdere due regioni storicamente decisive. Al tempo stesso, il clima teso nel centrodestra complica la costruzione di una strategia unitaria, con FI e FdI che sembrano voler ridimensionare l’influenza del Carroccio a livello territoriale.


Nonostante la bocciatura, è difficile immaginare che la Lega rinunci del tutto alla battaglia sul terzo mandato. Ma i numeri parlano chiaro: senza un’intesa nella coalizione, ogni tentativo appare destinato al fallimento. Intanto, l’opposizione osserva e sfrutta le crepe della maggioranza, mentre i governatori in carica attendono segnali. La sfida, come spesso accade in politica, si giocherà anche fuori dalle aule parlamentari, tra pressioni, equilibri e il calcolo elettorale.


Da Luigia Aristodemo

Presidente Associazione DIRE DONNA OGGI Editore Associazione DIRE OGGI 2.0

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