Lui è un giornalista ed analista di geopolitica spesso ospite nelle trasmissioni televisive come esperto.

Tra i vari incarichi da lui ottenuti si segnalano quello di chief geopolitical analyst di Macrogeo e think tank geopolitico e macrofinanziario.

Il suo scopo principale è decifrare come fattori territoriali, culturali e economici influenzino le decisioni strategiche di potenze globali e regionali.

Ha quindi una formazione trasversale che integra conoscenze economiche, politiche, giuridiche, storiche e sociali, ma stranamente non ha terminato gli studi.

Dopo l’invasione della Russia in Ucraina, il suo volto è diventato molto noto al pubblico.

Dario Fabbri sta avendo molto successo.

Le sue premesse sono sensate?

Geopolitica umana capire il mondo dalle civiltà antiche” , è questo il titolo del suo libro, che ho avuto il piacere di leggere, si tratta di un personale sviluppo teorico che ha l’ambizione di fornire una cornice concettuale onnicomprensiva che sia in grado di spiegare e predire il comportamento del suo oggetto di studio dalle civiltà antiche alle potenze odierne ma le sue conclusioni accettabili?

Oggetto della sua analisi sono le aggregazioni umane, in ogni realizzazione storica.

Tribù, póleis, comuni.

Fino all’epoca corrente, dominata dagli Stati-nazione, dagli imperi.

Mai i singoli individui.

Tantomeno i leader.

Ritenuti irrilevanti, mero prodotto della realtà che pensano di determinare.

Nella migliore accezione, soggetti che incarnano lo spirito del tempo.

 Per me nonostante le sue teorie possano sembrare plausibili, non ritengo siano giustificate da una cornice teorica solida.

Parla spesso di Iran, o degli Stati Uniti, Trump, e soprattutto di noi europei definendoci convinti che il mondo intero sogni di diventare come noi.

Quello che io sostengo, è che nessuna cornice teorica che si prefigga di studiare i fenomeni sociali può prescindere dall’approccio delle scienze sociali.

Ossia, anche quando si sviluppano linee di analisi che non impiegano i metodi delle scienze sociali, queste analisi devono essere almeno compatibili con i risultati ottenuti attraverso metodi formali o quantitativi.

Lui parla nei suoi lavori di collettività e aggregati umani, termini che in realtà sono molto vaghi. 

Basti notare che il modello che propone usando il quantificatore universale “ogni” fallisce immediatamente con gli esempi stessi che considera.

A mio avviso invece gli aggregati umani costituiscono delle entità proprie, capaci di pensiero, azioni e desideri in senso stretto.

Vuol dire che in certe condizioni particolari, per esempio quando si analizzano i comportamenti di gruppi come il consiglio di amministrazione, di una grande azienda, può essere utile interpretarli come un singolo agente perché le persone che lo compongono coordinano a sufficienza le loro azioni da dare luogo a un comportamento che mima quello di un agente singolo.

L’autore da un lato, dice che sono costituiti dagli esseri umani, dunque, non sono fondamentali perché sono costituiti da esseri umani; dall’altro, suggerisce che, una volta formati, siano dotati più o meno di vita propria ed emergano dalle interazioni delle persone nello spazio geografico che occupano.

Con tutto il rispetto questa è la pseudo-teoria di Dario Fabbri.

Da Giovanni Michele de Ficchy

Scrittore, giornalista indipendente specializzato in questioni economiche, scenari internazionali e criminalistica. Ambasciatore di Pace Onu. criminologo investigativo.

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