In un contesto sociale in cui i casi di violenza contro le donne continuano a occupare le pagine di cronaca nera, l’Avvocato Luigi Fratini ha presentato un disegno di legge che potrebbe rappresentare una vera svolta nella tutela preventiva delle vittime.
Il cuore della proposta è l’adozione di dispositivi indossabili intelligenti — braccialetti, collane, orologi o anelli — dotati di sistemi di allarme geolocalizzati, in grado di attivarsi automaticamente o manualmente al primo segnale di pericolo.
Diversamente dalle misure attuali, come i braccialetti elettronici destinati agli aggressori già segnalati, il DDL Fratini anticipa l’azione, intervenendo prima dell’aggressione, anche in contesti in cui la minaccia non è ancora formalmente riconosciuta. Il progetto prevede un fondo annuale di 50 milioni di euro, una struttura pubblica centralizzata, e garanzie stringenti in materia di privacy.
Abbiamo intervistato l’Avvocato Fratini per approfondire la genesi, gli obiettivi e l’impatto atteso di questo coraggioso testo normativo.
Avvocato Fratini, da cosa è nata l’urgenza di redigere questo disegno di legge?
L’urgenza è nata dalla constatazione che molte delle attuali misure legislative intervengono dopo la violenza, non prima. Troppe volte le istituzioni arrivano tardi. Ho sentito il bisogno, come cittadino prima ancora che come giurista, di proporre un intervento strutturale che metta al centro la prevenzione, non solo la punizione.
C’è stato un caso specifico che l’ha colpita e le ha fatto dire: “Bisogna intervenire prima”?
Più di uno, purtroppo. Ma ricordo in particolare il caso di una donna che aveva denunciato più volte, senza ricevere misure concrete a protezione. È stata aggredita nel suo garage, senza possibilità di chiedere aiuto. Mi sono chiesto: e se avesse avuto al polso un dispositivo che avvisava automaticamente la polizia? Forse sarebbe ancora viva.
In che modo i dispositivi intelligenti previsti dal DDL differiscono dai sistemi attualmente adottati per la protezione delle vittime?
Oggi la legge prevede principalmente braccialetti elettronici applicati agli aggressori, ma solo dopo un provvedimento del giudice. Il mio disegno di legge ribalta la logica: si concentra sulla vittima, non sul carnefice, e interviene prima che avvenga l’aggressione, anche quando non vi è ancora un provvedimento giudiziario o una denuncia formale.
Il testo prevede un’attivazione automatica anche tramite segnali biometrici. Può spiegare in che modo questo funzionamento può fare la differenza in caso di aggressione improvvisa?
I dispositivi possono rilevare variazioni anomale del battito cardiaco, movimenti bruschi, urla improvvise, ad esempio durante uno stupro, attivando automaticamente un segnale d’allarme. Questo è essenziale quando la vittima non è in grado di premere un pulsante, perché bloccata, stordita o priva di coscienza. La reazione automatica può salvare tempo prezioso — e salvare vite.
Come si garantisce l’equilibrio tra efficacia preventiva e tutela della privacy individuale?
Attraverso consenso esplicito, volontarietà dell’uso, crittografia dei dati, e un controllo rigoroso da parte del Garante per la protezione dei dati personali. I dati sono raccolti solo in caso di allarme e non sono conservati. La sicurezza non può essere costruita sacrificando la libertà: deve camminare insieme ad essa.
Cosa risponde a chi potrebbe temere una “sorveglianza generalizzata”?
Rispondo che la legge non impone nulla, e non autorizza alcuna forma di monitoraggio diffuso. I dispositivi sono attivati solo su richiesta della donna, per la sua tutela, e non funzionano come microspie. L’obiettivo non è sorvegliare, ma salvare.
Il fondo da 50 milioni annui sarà sufficiente a coprire la distribuzione dei dispositivi in tutta Italia?
Sì, è una stima calcolata su base triennale per una distribuzione graduale e mirata alle donne segnalate a rischio dai servizi sociali, dalle forze dell’ordine o dai centri antiviolenza. È un investimento minimo rispetto al valore anche di una sola vita salvata.
Quali soggetti istituzionali prevede coinvolti nella gestione operativa della misura?
Il Ministero dell’Interno, il Ministero per le Pari Opportunità, i servizi sociali territoriali, e le centrali operative delle forze dell’ordine. Inoltre, è prevista la creazione di un centro tecnico nazionale per la gestione dei dispositivi, sotto controllo pubblico.
Quanto è importante affiancare questa legge con campagne educative e di sensibilizzazione, soprattutto tra i giovani?
È fondamentale. Senza una cultura che riconosca la parità, il rispetto e il consenso, ogni norma rischia di restare sulla carta. Occorre parlare di rispetto nelle scuole, nei media, nelle famiglie. Per cambiare il futuro, bisogna iniziare dalla formazione del presente. Senza contare l’importantissima funzione deterrente che la campagna di informazione, sensibilizzazione e comunicazione avrebbe, in quanto gli aggressori conoscendo che molte donne portano questi sistemi di rilevazione presumibilmente si asterrebbero dal compiere violenze
Lei parla anche di una possibile ricaduta politica positiva per chi sosterrà il DDL. Crede che il Parlamento sia pronto a mettere da parte gli schieramenti per approvare una legge così?
Sì, lo spero e lo credo. Questa non è una legge “di parte”: è una legge “per tuttele donne ”. Proteggere la vita delle donne non è né di destra né di sinistra: è un dovere morale e civile.
Ha già ricevuto segnali di inter esse da parte di forze politiche o istituzioni?
Il disegno di legge è sato notificato e comunicato al Parlamento in data 12.5.2025 attendiamo sviluppi e speriamo che un’adeguata pressione mediatica possa accelerare i tempi di trasformazione del disegno di legge, in Legge dello Stato, per la salvaguardia di tante troppe donne innocenti.
Se il disegno di legge venisse approvato, quali saranno i prossimi passi per garantirne l’applicazione effettiva e capillare?
La legge prevede già una relazione annuale al Parlamento, un centro tecnico nazionale e un fondo dedicato. Ma l’attuazione reale dipenderà dalla formazione degli operatori, dalla trasparenza nella distribuzione, e da una forte volontà politica e amministrativa.
Pensa che questo modello possa essere replicato anche in altri Paesi europei?
Assolutamente sì. L’Italia può diventare un esempio. La tecnologia è disponibile, ma manca spesso una legge che ne disciplini l’uso con equilibrio e intelligenza. Questo DDL potrebbe fare scuola.
Qual è il suo messaggio per le donne che oggi si sentono sole, minacciate, o abbandonate dalle istituzioni?
Il mio messaggio è: non siete sole. Il dolore che avete vissuto non è invisibile. Questa proposta nasce per voi, per ridarvi potere, sicurezza e dignità. Lo Stato deve esserci prima, non solo dopo. E questa legge è un passo in quella direzione.

