COLTELLI DIVERSI

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“– È straniero. – No, in realtà non lo è. È italiano. – Ma come è italiano? Si chiama Moussa, italiano non è. – Guarda che è nato qui. – Chi se ne importa se è nato qui, guardalo in faccia, italiano non è sicuro. […] – Fa lo stesso. La sostanza non cambia. Non bisognava dargli la cittadinanza a quello, altro che Ius Scholae. – Veramente lo Ius Scholae non c’entra niente, al diciottesimo anno di età chiunque nasca qui ottiene la cittadinanza. È la legge che già c’è. – Davvero sono questi i nuovi italiani a cui aspiriamo? – In che senso? Vogliamo togliere la cittadinanza a quelli che ne hanno già diritto? – Sai che non ci avevo mica pensato. Potrebbe essere un’idea”. Il dialogo fantasioso che Veronica Gentili riproduce, non troppo scherzosamente, sul Fatto Quotidiano (2 settembre 2024), è la quintessenza nazional-popolare della tradizione italica IGP adusa a distorcere la cronaca per usi personali, trasformando il brutale omicidio di una donna – qualcuno ha addirittura azzardato lo scempio linguistico “femminicidio” – in una evidenza a favore del proprio delirio sociopolitico (la “sorella italiana ammazzata con brutale violenza” – copy Rossano Sasso, deputato leghista – al punto che se fosse semplicemente Sharon, nome italianissimo, quasi non varrebbe la pena di coinvolgere l’audience, una volta nota la nuance dell’assassino). D’altra parte, il livello medio del dibattito pubblico in questa scellerata penisola non schioda: ontologicamente inferiore alle muffe alimentari. E guai a dire in giro che Maria Cristina Rota, procuratore aggiunto di Bergamo e quindi appartenente a una categoria antropologica invisa ai nuovi patrioti, aveva prontamente sottolineato l’assenza di qualsiasi movente razziale o religioso – poteva essere chiunque transitava – e che addirittura il soggetto è stato identificato grazie alla testimonianza spontanea di due stranieri regolari, di quelli che magari tornano buoni per una manciata di euro al giorno nei campi di concentramento sottoforma di capannoni, cantieri, serre e allevamenti della laboriosa Padania.
Insomma, basta che il sangue porti voti, ma quel disgraziato assassino di Moussa Sangare è italiano a tutti gli effetti, il prodotto tipico della sottocultura che deambula nella provincia ipocrita, arrivista, decerebrata, in cui bande di dementi di ogni colore, incluso il bianco ariano – come osserva il sempre affilato Pino Corrias – girano nel vuoto a fare i bulli per sentirsi speciali: «È purissimo standard nazionale la sua testa vuota. Nutrita dalla nostra società spettacolo che sgocciola il veleno del narcisismo autoreferenziale e delle forme più degradate, della spazza-cultura giovanile. Quella che fomenta il mito dei soldi-soldi-soldi. Riempie il cervello con la chimica dello sballo. L’identità con il flusso degli smartphone, dove transitano i piccoli mostri degli influencer, gli orrendi fantocci di Maria De Filippi, i nevrastenici di Temptation Island, gli zombie del Grande Fratello, gli illusi di X-Factor, i rapper che fanno i gangster e i gangster che fanno i rapper». Così come poteva finire in una gang, oppure nel nulla, quell’altra sciagurata vittima della crudeltà postmoderna in cui i genitori scimmiottano i figli nella corsa tutta social verso la narcosi neuronale e i figli sembrano una parodia delle anime sul ponte di Dublino nel celebre racconto di James Joyce. E invece è finito in galera, in attesa di sapere se un giorno sarà una REMS: il pallavolista di Paderno Dugnano, perché oggi non si è giovani se non si è una giovane promessa, dello sport, della musica, della scienza, altrimenti pare brutto e le giovani mamme nella sala d’attesa del centro estetico non sanno più di cosa vantarsi. Attenzione però, che in questa circostanza – e l’autore di questo insensibile intervento non saprebbe dire cosa suggerisca il manuale Vannacci – non un monito si è alzato, un sussurro, un pigolio: la famiglia è (era) modello Mulino Bianco, e ancor più bianco il nuovo orfano autoprodotto. Mica abbronzato come quelle belve lombrosiane che ciondolano in monopattino con le Peroni e guastano lo sfondo delle istantanee estive nell’hinterland milanese, con quei deliziosi filari di villini tutti uguali immersi nella foschia. Qualcuno attendeva gli alti lai dei difensori della fede, dei custodi cerimonieri del sacro romano impero, delle vestali dell’italica fiamma? Niente da fare, un silenzio composto e giustamente rispettoso, mentre il ragazzino raggiunge sul palco principale della mattanza autorevoli precedenti da serie TV come Pietro Maso (Montecchia di Crosara, 1991), ed Erika e Omar (Novi Ligure, 2001). Se non altro di questi non abbiamo dovuto sciropparci la filastrocca dei frutti malati della società telematica, della straziante generazione Z carica di ansie e vergogne, ossessionata dall’aspetto fisico, dall’alimentazione, dal rendimento scolastico e altri vaneggiamenti indotti, guarda un po’, dalla pandemia; ma come? Per vent’anni ci hanno fracassato le parti basse – specialisti, pedagogisti, pediatri, opinionisti e ogni altro animale da salotto televisivo – con le stupefacenti opportunità delle tecnologie informatiche, l’universo intero esplorato con un click, le miracolose sorti della natività digitale che sottomette l’esistenza senza sporcarsi le mani, e cosa ci tocca scoprire, quando la storia ci consegna su un piatto d’argento l’occasione di chiuderci in casa un paio di mesi? Che i ragazzini impazziscono, e sa perché signora mia? Perché non possono scendere a giocare nei prati, a “socializzare”. E vai col bonus psicologo, ovviamente pescandolo nel piatto del reddito di cittadinanza di chi non mangia due volte al giorno. Ma mi faccia il piacere!
Un po’ di numeri italiani dal sito web di Eures: 70 omicidi, solo nel 2024, sono stati commessi in famiglia (il 43% del totale), 320 omicidi familiari multipli tra il 2021 e il 2024 (compresi i casi di omicidio-suicidio), 11,4% di omicidi con un genitore come vittima (nel 2022 erano il 9,1%, nel 2023 il 9,7%). Il primato è saldamente nelle mani dell’industrioso Nord, con il 56,4% di vittime totali. Non sarà forse il caso di spostare il cono visivo sulla drammatica e irreversibile rottura dell’ineffabile modello di sviluppo collettivo della modernità occidentale? «L’interruzione, l’aberrazione – sostiene il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii – avviene nella vita quotidiana, ordinaria, quando tra le pareti domestiche ci sono bug nei codici di sistema […] Avvengono in un ceto medio dove c’erano valori fortemente condivisi, fini da perseguire e un crescente benessere economico e sociale» (Il Messaggero, 2 settembre 2024).
Ad ogni modo, cari padroni del vapore, sono d’accordo con voi: togliamo la cittadinanza a tutti i Moussa oziosamente a zonzo per la nostra bella e costumata Italietta all’amatriciana, anzi, togliamola pure a tutti coloro che non presentino all’anagrafe un emocromo DOP. Magari, alla prossima puntata, invece di citofonare con baldanza al presunto spacciatore di quartiere (casualmente magrebino) con telecamere e scorta al seguito, toccherà fare una scampanellata a un crudele boss della Ndrangheta. E vorrei proprio vedere come andrebbe a finire, preparo i popcorn!