Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato e figura di spicco della Lega, da sempre difende con fermezza l’agricoltura italiana, il Made in Italy e la valorizzazione del turismo nazionale. Con un’esperienza consolidata nelle istituzioni e una visione chiara sulle politiche economiche e sociali del Paese, Centinaio si confronta su alcune delle questioni più attuali: dalla tutela del settore agroalimentare alla sostenibilità del turismo, passando per l’identità della Lega e il rapporto tra Italia ed Europa. In questa intervista, analizza le sfide e le opportunità per il futuro, delineando le strategie necessarie per rafforzare la competitività dell’Italia su scala internazionale.
Sen. Centinaio Lei ha sempre difeso il valore dell’agricoltura italiana e del Made in Italy. Quali sono le tre azioni fondamentali che il governo dovrebbe attuare subito per proteggere e rilanciare il settore agroalimentare?
Questo governo ha il merito di aver riportato il Made in Italy agroalimentare al centro del dibattito nazionale ed europeo. La Lega ha dato un grande contributo in questo senso con le proposte che abbiamo portato in Parlamento e che sono diventate legge, ma anche con il costante ascolto delle categorie e con il lavoro dei nostri colleghi a Strasburgo. Bisogna andare avanti in questa direzione e tenere alta la guardia, soprattutto a livello internazionale.
Dobbiamo costruire quella che io chiamo una “lobby sana”, trasversale ai diversi Paesi e agli schieramenti politici, che sappia contrastare i tentativi di colpire i nostri prodotti enogastronomici. In questo momento, tutti guardano ai dazi che gli USA potrebbero imporre, ma io invito ad allargare l’attenzione anche alle barriere che sono già presenti in altri mercati (Asia e Sudamerica) e soprattutto a quelle implicite che deriverebbero dalle etichette allarmistiche (penso a quelle sul vino, ma anche al Nutriscore sugli alimenti) di cui qualche funzionario di Bruxelles ricomincia a parlare, oppure dalla concorrenza sleale dell’Italian Sounding che mortifica le esportazioni e la stessa reputazione dei nostri prodotti.
Quindi dobbiamo continuare a sostenere la modernizzazione del settore, attraverso la ricerca scientifica e tecnologica. Il recente attacco vandalico al campo sperimentale delle Tecniche di Evoluzione Assistita nel Veronese, che arriva dopo quello già avvenuto in Lomellina, è figlio di un pregiudizio rozzo e sbagliato, che vorrebbe ricacciare indietro e quindi destinare alla scomparsa la nostra agricoltura. Sono stato tra i primi a favorire l’approvazione della norma che consente queste coltivazioni sperimentali e rimango convinto dell’importanza di una tecnica genomica che non ha niente a che vedere con gli OGM e che garantisce la sicurezza per i consumatori, la resistenza delle piante agli effetti del cambiamento climatico come la siccità e la riduzione dell’uso di fitofarmaci. Spero che anche l’Europa si convinca a dare il via libera a questi prodotti, approvando la norma rimasta incompiuta nella scorsa legislatura.
Infine, dobbiamo aiutare il settore agroalimentare ad allargare le attività complementari, in particolare legate al turismo. Per questo servono norme, che in buona parte già ci sono, investimenti e soprattutto formazione. Questo aiuterebbe le imprese a stare sul mercato e anche a continuare a proteggere con maggiore efficacia il territorio in cui operano.
L’Italia è una potenza turistica mondiale, ma deve affrontare nuove sfide legate alla sostenibilità e al cambiamento climatico. Come immagina il turismo italiano tra dieci anni e quale ruolo avranno le regioni nel costruire un’offerta più competitiva?
Il mercato turistico è in rapida evoluzione ed è difficile fare previsioni. Anche per questo, dobbiamo lavorare per valorizzare tutti i “turismi” sui quali il nostro Paese può fare affidamento. Abbiamo il mare, abbiamo le città d’arte, abbiamo la montagna e questo lo sa già tutto il mondo. Ma abbiamo borghi, enogastronomia, open air, terme, produzioni artigianali e tanti altri patrimoni che hanno già iniziato ad attrarre visitatori e che hanno ancora grandi potenzialità di crescita. Fondamentale è anche in questo caso la formazione del personale, insieme alla qualità dei servizi offerti.
Le Regioni hanno un ruolo fondamentale. Da una parte, perché la Costituzione affida loro la competenza legislativa su questo tema. Dall’altra, perché possono conoscere e individuare con più efficacia le tante piccole perle presenti sul loro territorio e aiutarle a fare rete. Sono convinto, però, che sia necessario un forte coordinamento nazionale nel promuovere il sistema-Paese all’estero. Non riusciremo mai a vendere singoli pacchetti microterritoriali a un turista americano o giapponese, dobbiamo elaborare e sostenere percorsi più ampi e completi.
La Lega ha attraversato molte fasi di trasformazione. C’è un dibattito interno su quale direzione prendere per il futuro del partito? Quali sono, secondo lei, i valori fondamentali su cui la Lega deve continuare a puntare?
La Lega è il partito più “vecchio” presente in Parlamento e io penso che questa anzianità abbia portato anche saggezza. Il confronto interno è una fonte di ricchezza, che ci permette di conciliare i nostri valori e principi tradizionali, come l’autonomia e il radicamento territoriale, con l’ampliamento a livello nazionale del progetto politico, di cui va dato merito a Matteo Salvini. Oggi non sono in discussione né la presenza della Lega in tutto il Paese né la leadership dello stesso Salvini. Andiamo verso un congresso federale nel quale troveremo il modo migliore per rilanciare la nostra azione politica e per consolidare la presenza sui territori, valorizzando anche i tanti nostri amministratori regionali e locali.
In un’epoca di grandi cambiamenti geopolitici, qual è la sua visione del rapporto tra Italia ed Europa? Ritiene che si possa trovare un equilibrio tra il rispetto delle regole comunitarie e la difesa dell’interesse nazionale?
La Lega sostiene un’idea di Europa diversa da quella attuale e più vicina a quella delle origini. La libera circolazione delle merci e delle persone fu un’intuizione straordinaria, che ha dato grandi vantaggi. Ma da lì si è originata la tendenza a delegare sempre più poteri a Bruxelles, spesso a tecnocrati non eletti, che non conoscono le realtà alle quali si applicano le loro norme. Un cittadino di Stoccolma non ha le stesse esigenze di uno di Palermo, come uno di Lisbona non può averle con uno di Varsavia. D’altra parte, stiamo avendo proprio in questi giorni la prova del fallimento dell’Unione Europea sul piano diplomatico e militare: se non fosse arrivato Trump, staremmo ancora continuando a inviare armi a Kyev, senza vedere la possibile fine del conflitto in Ucraina.
L’Europa si preoccupi di tutelare le nostre merci e di favorire gli scambi commerciali e lasci ai singoli Stati la possibilità di decidere su tutti gli altri ambiti. Non possiamo continuare ad affidarci al traino di Germania e Francia, i cui governi tra l’altro non hanno in questo momento nemmeno il sostegno popolare. Così come non possiamo lasciare decisioni importanti sul nostro destino nelle mani di un pastrocchio politico qual è la maggioranza che sostiene Ursula Von der Leyen. Se vogliamo un’Europa davvero democratica, impariamo ad ascoltare la voce dei cittadini.