A cura della Redazione di Sallustiana Art Today
Il nome d’arte Rocar racchiude in sé la forza di un simbolo e la purezza di un’eredità.
Nasce dall’unione tra Rocco, il suo nome di battesimo, e car, automobile — in omaggio al nonno Angelo Bianco, uomo di motori, di officina e di sogni in velocità.
In quella fusione, semplice e geniale, si cela già una poetica: il viaggio, il movimento, la memoria che diventa energia creativa.
“Rocar” funziona perché parla in molte lingue, ma soprattutto parla con il cuore. È un nome breve, sonoro, e immediatamente riconoscibile.
Evoca il rombo del motore e la corsa dell’immaginazione.
Ogni lettera sembra scorrere come una pennellata lanciata a tutta velocità, e ogni suono rimanda a un’azione: dipingere, esplorare, correre.
C’è poi un dettaglio che sfiora il mistero: Rocar è quasi l’anagramma di roar, “ruggito”.
E in effetti, nelle sue opere, il colore non tace mai: ruggisce.
Lì si percepisce la potenza primordiale dell’infanzia che crea senza calcolo, con la furia gentile del gioco e l’urgenza della scoperta.
Rocar non dipinge per piacere — dipinge per vivere.
In questo nome, così giovane e già definitivo, convivono la tenerezza della memoria e la promessa del futuro.
È un nome che non imita: accelera.
E come ogni vero artista, Rocar ha già trovato la sua voce — o meglio, il suo suono.
> Hypnos, maestro del nulla, poeta del tutto.

