“Siamo in molti miliardi di troppo a chiedere il Paradiso in Terra,
ed è l’Inferno quello che rendiamo inevitabile,
con l’aiuto della nostra scienza,
sotto il bastone dei nostri pastori imbecilli.
Il futuro dirà che gli unici chiaroveggenti
erano gli Anarchici e i Nichilisti.”
(Albert Caraco, Breviario del Caos, 1982)
Una notizia buona e una cattiva. Prima la cattiva: in Italia non nascono più bambini; poi quella buona: in Italia non nascono più bambini. Nel senso che, come per incanto, gli astuti analisti della popolazione si accorgono che tra non molto la patriottica stirpe d’Ausonia non avrà angioletti del focolare da ingravidare ogni nove mesi e a loro volta regalare muscoli e cervelli (cervelli?) a Glovo oppure alle mietitrebbie dei caporalati nella Vandea pontina. Non si capisce bene se a causa di un drammatico abbattimento della capacità di riproduzione, biologicamente comprensibile, o per la scelta deliberata di generazioni al bivio tra i piedi della croce e la canna della pistola: bene faceva lo splendido polemista e scrittore uruguaiano-francese a ricordarci che è il dovere, non il piacere, a distruggere l’universo; la fecondità, e non la fornicazione (Albert Caraco, Supplemento alla Psychopathia Sexualis, pubblicato nel 1991 dal coraggioso editore Guida di Napoli, affiancato dagli unici due titoli ancora disponibili per i tipi di Adelphi: Breviario del Caos e Post Mortem, nella strepitosa traduzione di Tea Turolla). Talmente elegante, lucido e disilluso da essere sistematicamente cassato dai guardiani della romanissima fiamma imperiale, invece di farlo imparare a memoria, come vorrebbe il ministro dell’umiliazione pedagogica per i versetti carducciani, sin dalle scuole materne. Che, grazie al cielo, se la regressione statistica mantenesse le promesse, tra qualche anno potrebbero scomparire. Ma dove andremo a finire, signori miei?
L’indizio è come sempre numerico: circa 130.000 studenti ogni anno mancano all’appello rispetto al precedente, le iscrizioni scolastiche non mentono. Nel 2024-2025 gli iscritti al primo anno di scuola superiore sono 562.733 contro i 511.244 della terza media; pertanto, a settembre ci sarà un saldo negativo pari a 51.489 solamente nelle secondarie di secondo grado, un calo del 9%. In mancanza di variazioni decisive, difficilmente prevedibili, tra dieci anni ci saranno più o meno un milione e mezzo di studenti in meno, e con essi 130.000 docenti da riciclare nella macelleria sociale del poetico “merito”, quelli che già adesso, proditoriamente, vengono spediti da Cava dei Tirreni a Spilimbergo con uno stipendio da fame, grazie alle graduatorie creative dei luminari ben incistati sui divanetti di Viale Trastevere. Per i piccoli della scuola dell’infanzia, primo indicatore di denatalità, la perdita è stimata in oltre 156.000, con tutto ciò che ne consegue in termini di accorpamenti, dimensionamenti, riduzione di posti di lavoro con le solite ricette di fantasia date in pasto alla piazza per guadagnare tempo, tipo utilizzare i docenti in esubero nelle “attività di orientamento e per l’attività di tutor al fianco degli studenti” (copy Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi). Un giorno, si spera, ci spiegheranno “orientare” chi verso cosa e se fare il “tutor” è qualcosa di simile a un prepensionamento o altro, tipo addetto all’attraversamento pedonale.
Il corollario è generazionale: non se ne può più dei giovani e del giovanilismo tipico dei paesi familisti, una retorica insopportabile, stolta, cacofonica, sgraziata e autistica come i suoi destinatari. Ma per quale dannato motivo persiste il luogo comune della sacralità dell’infanzia, della straordinarietà della gioventù? Non fosse altro che l’allungamento della vita media altro non è se non l’allungamento della vecchiaia, un lungo e malinconico declino buono solo a ingrassare i fatturati dei furbastri della cosiddetta “silver economy”, ennesima deiezione della postmodernità. Qualcuno li osserva senza paternalismi questi frutti impazziti delle patologie alimentari e della demenza collettiva? Mi piacerebbe vederli a scannarsi per un tozzo di pane ammuffito con i coetanei gazawi amputati dalle armi vendute impunemente dai loro genitori ai criminali di guerra, in barba a quella carta da pacchi sporca di sangue che alcuni si ostinano a chiamare costituzione. E invece tocca vederne a centinaia nelle aule universitarie, automi inebetiti da quei rettangolini iridescenti a cui li accomuna un idioma troglodita di gridolini e contrazioni sillabiche, a ricordare loro che, alla fine della fiera, io sembro il ventenne e loro i cinquantenni: incapaci di qualunque eccesso, di un bagliore, di una tensione estetica, di una sacrosanta e spregiudicata epica ghiandolare, fatta eccezione per l’ebbrezza di prendersi a coltellate il sabato sera per una sbirciatina nella scollatura dell’amichetta. Se a qualcuno insegnassero le scontrose, irritanti, sfrontate rasoiate di un genio dadaista come Robert Poulet, invece dei lamenti balbuzienti delle marionette teleguidate dei talent, saremmo già un passetto avanti: «A quattro anni, si può strofinare un fiammifero; a nove, maneggiare una pistola; a tredici, accoppiarsi; a sedici, avere qualche idea. Si mette sempre capo a qualche accidente.» (Contro la gioventù, 2018, OAKS Editore). È davvero necessario mandare altri piccoli automi al massacro?
La chiosa è semplice logica quantistica: la risposta è no, lo scenario è troppo deprimente per non adoperarsi a favore dell’estinzione dell’Homo Sapiens, famiglia degli ominidi, ordine dei primati. Tra le iniziative più meritevoli è da segnalare l’utopia non violenta del gruppo internazionale The Voluntary Human Extinction Movement (www.vhemt.org), la cui esortazione è di vivere più a lungo è al meglio che sia possibile evitando la diffusione del proprio patrimonio genetico. L’eliminazione graduale della specie umana cessando volontariamente di riprodursi consentirà alla biosfera terrestre di tornare in buona salute per lasciare il pianeta a esseri più degni. Le condizioni di affollamento e la carenza di risorse miglioreranno man mano che diventeremo meno densi.
Thank You For Not Breeding!
PS: per chi, certamente in larga maggioranza, non si è rassegnato al nichilismo universale, ci si permette un timido consiglio letterario non richiesto. Nelle pagine più folgoranti del giovanissimo suicida svedese Stig Dagerman, essenziali, inquiete, oscure, delicate nel raccontare il trauma dell’esperienza, i bambini hanno un ruolo speciale nello svelamento della solitudine umana di fronte al dolore. Dagerman è un anarchico autentico, sempre in rivolta contro i miti imposti dalla società, e nella breve antologia Perché i bambini devono ubbidire? (2013, Iperborea), racconta l’innocenza e le ferite di un’età in cui «si è tutti poeti». Sembra dire loro: non ascoltate i tradimenti degli adulti, ma le grida degli oppressi, e sarete preziosi come quei fiori che crescono solamente sull’orlo dei precipizi.
“Fondare una famiglia.
Credo che mi sarebbe stato più facile fondare un impero.”
(Emil Cioran, Squartamento, 1979)