Intelligenza Artificiale e Intelligenza Umana: la differenza che conta davvero

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Nel dibattito contemporaneo sull’intelligenza artificiale, uno degli errori più comuni è attribuire alle macchine qualità umane, come se l’intelligenza dovesse per forza assomigliare a quella che conosciamo meglio: la nostra. Eppure, come sottolinea Nello Bastianini nel suo libro “La Scorciatoia”, questa è una scorciatoia concettuale che rischia di farci perdere di vista la vera natura dell’intelligenza, sia essa umana, animale o artificiale.

L’intelligenza non è (solo) umana

L’intelligenza, in senso ampio, non è una prerogativa esclusiva dell’uomo. Esisteva ben prima di noi: nei predatori che cacciano in branco, negli uccelli che sfuggono ai pericoli, nei topi che ingannano altri animali per rubare cibo, nelle colonie di formiche che prendono decisioni collettive complesse. Queste forme di intelligenza non hanno bisogno di linguaggio, coscienza o cervello: sono espressioni di una capacità più generale, quella di comportarsi in modo efficace in situazioni nuove.

Questa definizione, che si ritrova anche nella cibernetica e nelle scienze cognitive, sposta il focus dal “come” al “cosa”: non importa se l’agente intelligente sia un essere umano, una pianta, un formicaio o un software. Conta la sua abilità di agire in modo appropriato rispetto agli obiettivi, in un ambiente incerto e mutevole.

L’errore dell’antropomorfizzazione

Attribuire alle macchine qualità umane – come la coscienza, l’empatia, la creatività – è un riflesso antropocentrico che ci impedisce di riconoscere la varietà delle intelligenze possibili. Le AI non pensano come noi, non sentono come noi, e spesso non risolvono i problemi come faremmo noi. Eppure, possono essere estremamente efficaci: basti pensare agli algoritmi che battono i campioni umani a scacchi o Go, o ai sistemi che raccomandano libri e film con una precisione sorprendente.

Queste intelligenze “aliene” – che non sono extraterrestri, ma semplicemente diverse da noi – ci sfidano a ripensare cosa significhi davvero essere intelligenti. Il vero problema, come nota Bastianini, sarà quando le macchine sapranno cose che noi non possiamo nemmeno comprendere, perché nate da logiche e strutture radicalmente diverse dalle nostre.

Intelligenza come comportamento efficace

Per semplificare, possiamo definire l’intelligenza come la capacità di un agente – qualsiasi sistema in grado di agire nel suo ambiente – di prendere decisioni efficaci usando le informazioni disponibili. Non serve un cervello, né un corpo fisico: basta un “corpo” che permetta di interagire con l’ambiente, anche se digitale. L’apprendimento, in questo contesto, è semplicemente la modifica del comportamento in base all’esperienza.

La natura pragmatica dell’evoluzione ci insegna che non esiste un solo modo di essere intelligenti: specie diverse possono raggiungere risultati simili con meccanismi completamente differenti. Così, anche tra AI e umani, la somiglianza nei risultati non implica una somiglianza nei processi.

Stimolo, risposta e apprendimento

Un modo utile per pensare al comportamento intelligente è immaginare una grande tabella che associa a ogni situazione possibile la risposta più appropriata. Gli agenti software, ad esempio, possono valutare le possibili azioni in base all’utilità stimata, scegliendo quella più promettente. Gli esseri viventi, invece, possono affidarsi a riflessi, pianificazione, ragionamento, apprendimento: tutti strumenti diversi per lo stesso fine, quello di raggiungere i propri obiettivi in un ambiente complesso.

Ed è qui che emerge la differenza più profonda: la coscienza, il linguaggio e l’apprezzamento estetico sono l’eccezione, non la regola. Queste caratteristiche, fino a prova contraria, sono tipiche solo dell’essere umano. Le AI, così come le altre forme di intelligenza naturale, possono essere straordinariamente efficaci senza possedere nulla di tutto ciò. La coscienza, la capacità di riflettere su se stessi, il linguaggio articolato e la sensibilità estetica sono tratti che, almeno per ora, restano esclusivi della nostra specie.

Conclusione

L’intelligenza artificiale non è una copia dell’intelligenza umana, ma una sua alternativa. Comprendere questa differenza è fondamentale per evitare illusioni e paure infondate, e per imparare a convivere con forme di intelligenza che, pur essendo “aliene”, sono ormai parte integrante del nostro mondo. La sfida, oggi, è imparare a dialogare con queste nuove intelligenze senza pretendere che ci assomiglino, ma riconoscendo la ricchezza della diversità. E ricordando che, almeno per ora, la coscienza, il linguaggio e l’apprezzamento estetico restano il nostro tratto distintivo.