Il rapporto tra individuo e società, nella sua complessità, è difficilmente definibile. Un aiuto alla codifica può essere l’intendere la società come il contesto entro il quale si svolge la vita degli individui e dove avvengono tutte le principali azioni umane.
L’esistenza di una società, esterna all’individuo, è sia un fattore di condizionamento che di stimolo per la vita stessa delle persone. Questa duplice influenza concerne sia il comportamento sociale di ciascuno che la sua vita interiore fatta di pensieri, opinioni e sentimenti.
L’obiettivo dell’individuo dovrebbe essere quello del raggiungimento di un obiettivo in maniera equilibrata e, la società, all’interno di questo processo, deve agire in modo tale che le norme e le regole che costituiscono le sue leggi siano interiorizzate dagli individui. Le stesse diventano così parte del proprio bagaglio cognitivo, affinché vengano percepite e sentite non come imposizioni esterne, ma come esigenze interne dell’individuo stesso.
Da un lato si ha quindi una prospettiva di tipo individualistico che rivendica alla singola persona il privilegio del diritto, dell’iniziativa, della libertà di giudizio: la società viene quindi a definirsi come un prodotto secondario, costruito dagli individui che lo compongono, che ha il compito di soddisfare le esigenze delle persone, mediando le singole individualità. Dall’altra parte si pone invece una prospettiva che deputa alla società un privilegio rispetto alle persone che la compongono: solo la società è in grado di assicurare le basi per la costruzione di una convivenza civile, che possa andare oltre il primitivo egocentrismo biologico. La legge, in questo contesto, si inserisce per regolare ogni tipo di azione pubblica e agire al fine di normalizzare le azioni provate: la funzione della legge riguarda quindi sia la sfera individuale che quella sociale e, in particolar modo, si occupa di risolvere i conflitti che nascono dalle esigenze dei singoli. Tali esigenze sono percepite dagli individui come necessarie e irrinunciabili, ma possono non essere tali in senso assoluto, quando, cioè, vengono calate in un contesto sociale.
La funzione determinante svolta dalla legge nella regolazione della vita sociale è infatti quella di rendere prevedibile e controllabile il comportamento degli individui, svolgendo anche un indispensabile compito di rassicurazione: la sua natura ha quindi un fondamento prevalentemente psicologico. In un contesto regolato dalla legge gli individui possono operare seguendo un percorso convenuto che consente di prevedere il proprio comportamento e, soprattutto, quello altrui. Ne consegue che esistono fondamenti di carattere psicologico ben delineati nella mente di ciascun individuo che consentono la diffusione e il funzionamento della legge, senza per questo dover ricorrere a una considerazione giusnaturalistica del diritto.
La percezione spontanea che l’individuo ha della legge deriva dal suo carattere intrinseco di riduzione del rischio, ma soprattutto del suo carattere distributivo, ossia della sua capacità di ottenere un’equa distribuzione di diritti e di doveri, ponendo limiti accettabili all’azione individuale, in base a un’applicazione concreta della giustizia. La legge interviene quindi come amministratrice della giustizia civile o penale, indagando sulle azioni di ciascuno, emanando sentenze e comminando, quando necessario, sanzioni.
Vi è un’inalienabile esigenza psicologica della legge stessa. La giustizia non si limita a rappresentare la “conformità” a una norma, ma costituisce la vera e propria efficienza della norma stessa e del sistema di norme. Tale efficienza non è da intendersi come un’applicazione “scolastica” di regole, ma piuttosto nella capacità della legge di facilitare i rapporti, prevenendo o riducendo i conflitti sociali, ponendosi come garante della libertà di ciascuno e di tutti.