Ci sono momenti nella vita pubblica in cui il silenzio diventa complicità, e altri in cui la parola — se fondata su verità, rispetto e conoscenza diretta — diventa atto di giustizia.
Oggi sento il dovere di esprimere la mia stima e la mia solidarietà nei confronti di Federico Bianchi di Castelbianco, non solo come collega, ma come uomo che ha dedicato la propria esistenza alla cura delle persone, alla crescita dei giovani e alla difesa del valore educativo della relazione.
Chi lo conosce professionalmente sa quanto sia profonda la sua competenza clinica, costruita in decenni di lavoro silenzioso, rigoroso, sempre centrato sull’altro.
Nel campo della psicologia dell’età evolutiva, Federico ha rappresentato — e rappresenta tuttora — una voce autorevole e appassionata: promotore di ricerche, formatore di generazioni di terapeuti, presenza costante accanto a bambini, famiglie e scuole.
In un tempo in cui l’ascolto autentico sembra rarefarsi, lui ha saputo custodirlo come un atto di cura e come fondamento della relazione terapeutica.
È dunque con profonda amarezza che assisto al rischio di veder ridotto il valore di un’intera vita professionale a poche righe di cronaca, spesso imprecise o sbilanciate.
Ogni cittadino ha diritto a essere giudicato solo dai fatti e nelle sedi competenti, non dalla pressione del pregiudizio o dal clamore dei titoli.
La presunzione di innocenza non è una formula formale: è una conquista di civiltà. È il muro che separa la giustizia dalla barbarie della gogna pubblica.
Federico Bianchi di Castelbianco non è un nome da riempire di sospetti, ma una persona che per decenni ha investito energia, intelligenza e umanità nel costruire benessere psicologico e sociale.
Ha formato professionisti, fondato istituzioni che ancora oggi rappresentano un punto di riferimento per la psicologia italiana, e affrontato con coraggio le sfide del nostro tempo — dall’autismo all’inclusione, dalla scuola alla famiglia.
Chi lo conosce sa che dietro il suo impegno c’è una visione profonda: credere nell’altro.
Credere che ogni individuo, anche nel momento della fragilità o del conflitto, abbia diritto a essere accolto, ascoltato e compreso.
Per questo, come collega, come cittadino e come uomo, sento il dovere di ricordare che la competenza, l’etica e l’umanità non si cancellano con un sospetto, né con una narrazione parziale.
La giustizia farà il suo corso — come è giusto che sia — ma nel frattempo la verità personale e professionale di Federico resta intatta agli occhi di chi ha condiviso con lui il cammino della cura.
Chi opera per il bene delle persone merita di essere giudicato con misura, equilibrio e rispetto.
E chi conosce la sua storia sa che la sua dedizione alla psicologia, ai bambini e alla società intera è un patrimonio che nessuna polemica può oscurare.
Firmato in spirito e coscienza, come riflessione di un collega che crede nel valore della verità, della relazione e dell’etica professionale.

