Nel secondo anniversario dell’assalto avvenuto il 7 ottobre 2023, le famiglie delle vittime si stanno recando oggi sul luogo della strage, nel deserto del Negev, per commemorare le persone perdute. Osserveranno un minuto di silenzio, rituale collettivo di memoria e rispetto.
L’attacco, compiuto durante il festival musicale “Nova” vicino al kibbutz Re’im, causò decine di morti e numerosi rapimenti. Si stima che circa 1.200 persone furono uccise e circa 250 presi come ostaggi.
Quest’anno non è previsto un evento ufficiale di Stato nella data del 7 ottobre: le cerimonie sono promosse da gruppi di famiglie e attivisti. Le commemorazioni si tengono in vari luoghi gravemente colpiti, come il sito del festival, i kibbutz più danneggiati, e alla vigilia ci sono stati raduni anche a Tel Aviv per chiedere la liberazione dei prigionieri rimasti.
In parallelo, continuano i negoziati indiretti tra Israele e Hamas in Egitto, con i mediatori che riferiscono di progressi e interlocuzioni “positive” su una possibile intesa di scambio ostaggi e cessate il fuoco. Alcune testate definiscono le trattative “molto positive” e parlano di una bozza di tabella di marcia. Tuttavia, il clima in Israele è segnato da divisioni politiche, crisi diplomatica e pressioni interne, soprattutto per la gestione della guerra a Gaza e per la sorte dei prigionieri.
La giornata assume un significato doloroso e simbolico per molte comunità violate. Alcuni kibbutz distrutti nell’attacco stanno tuttora tentando di ricostruire, con fatica, le proprie infrastrutture e il tessuto sociale. Le famiglie delle vittime e degli ostaggi reclamano verità, giustizia e responsabilità, puntando il dito contro chi ritengono abbia fallito nella prevenzione o nella gestione.
Mentre il richiamo alla memoria si manifesta nei silenzi, nei riti e nelle cerimonie personali, la guerra continua a fare vittime, e la condizione dei prigionieri rimasti in Gaza rappresenta una ferita che resta aperta per molti.

