Principe Andrew, fine di un’era: Carlo III gli revoca titoli e residenza dopo le nuove rivelazioni sul caso Epstein



Londra – Il re Carlo III ha revocato al fratello Andrea tutti i titoli, gli onori e i privilegi reali, ponendo fine a un lungo e controverso capitolo della monarchia britannica. La decisione, annunciata da Buckingham Palace, arriva dopo che nuove testimonianze e pressioni politiche hanno riacceso il caso legato ai rapporti tra il duca di York e il finanziere americano Jeffrey Epstein.

Da oggi, il principe Andrea non potrà più fregiarsi del titolo di “Sua Altezza Reale”, né di quello di Duca di York. Nelle comunicazioni ufficiali verrà indicato semplicemente come Andrew Mountbatten-Windsor, una scelta che segna simbolicamente l’espulsione dalla cerchia attiva della famiglia reale.


Fonti vicine alla casa reale spiegano che la scelta di Carlo III non è stata improvvisa. Negli ultimi mesi, la pressione pubblica e politica era aumentata a causa del riemergere di documenti e testimonianze legate alle frequentazioni di Andrea con Epstein e Ghislaine Maxwell.
Una mozione presentata alla Camera dei Comuni da un gruppo di parlamentari chiedeva esplicitamente la revoca dei titoli, definendo “incompatibile con i valori della monarchia” il mantenimento di uno status regale per un uomo coinvolto in uno scandalo di tale portata.

Buckingham Palace, nel comunicato ufficiale, ha parlato di “una decisione dolorosa ma necessaria per tutelare l’integrità della Corona e il rispetto verso le vittime di abusi e sfruttamento”.


Contestualmente alla revoca dei titoli, Carlo III ha disposto che Andrea lasci la residenza di Royal Lodge, la storica villa immersa nei giardini di Windsor, dove viveva da oltre vent’anni.
Secondo fonti interne, il principe dovrà trasferirsi in un’abitazione più modesta nel complesso di Sandringham, di proprietà privata del sovrano.
La decisione, considerata drastica ma inevitabile, chiude anche il capitolo delle agevolazioni economiche e logistiche garantite ad Andrea dal defunto regina Elisabetta II.


La parabola del principe Andrea è tra le più clamorose della storia recente della monarchia britannica. Da ex eroe di guerra nella Marina Reale e terzo figlio amatissimo della regina Elisabetta, a figura controversa e progressivamente isolata dopo l’intervista del 2019 alla BBC — un’apparizione televisiva che, invece di discolparlo, distrusse la sua credibilità pubblica.

Nel 2022, dopo l’accordo extragiudiziale con Virginia Giuffre, una delle donne che lo accusavano di abusi, Andrea aveva già perso i suoi incarichi militari e la possibilità di rappresentare la famiglia reale negli eventi ufficiali. Tuttavia, il mantenimento del titolo di duca e la residenza a Windsor avevano continuato a generare polemiche.

La decisione del re è maturata in un contesto di crescente indignazione. Diversi ministri e parlamentari hanno definito la rinuncia ai titoli “l’unica via percorribile per preservare la credibilità della monarchia”.
Anche i sondaggi confermano che oltre due terzi dei cittadini britannici ritenevano inaccettabile che Andrea continuasse a godere di privilegi reali.

Nel frattempo, le figlie Beatrice ed Eugenie manterranno i propri titoli di principesse, in quanto non coinvolte direttamente nelle vicende del padre e considerate “fedeli alla causa pubblica” dalla Corona.

La revoca dei titoli al principe Andrea rappresenta molto più di una punizione personale: è un messaggio di discontinuità.
Carlo III, fin dall’inizio del suo regno, ha dichiarato di voler rendere la monarchia “più sobria, trasparente e responsabile”. Con questa decisione, mostra che l’istituzione non può più proteggere chi compromette la sua reputazione.

La caduta del duca di York chiude così un’epoca segnata da silenzi e protezioni, aprendo un nuovo corso in cui anche i membri della casa reale devono rispondere, come qualsiasi cittadino, davanti all’opinione pubblica e alla giustizia.


Il caso di Andrea non è solo una vicenda privata o familiare: è un simbolo del difficile equilibrio tra tradizione e rinnovamento.
Carlo III, scegliendo di agire, ha voluto ricordare che l’autorità morale della Corona dipende dalla sua capacità di riconoscere gli errori e di schierarsi dalla parte giusta della storia.

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