Una storia di sangue e passione dal Medioevo dell’Italia Centrale

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Esempi di storie intrise di amore e morte nell’Italia centrale del Basso Medioevo ne abbiamo molte e molte altre sono presenti nella di altre zone Europee nel medesimo periodo. Per quanto concerne la Francia, si è occupato molto di tale tema Decarreaux, mentre in Italia è stato affrontato da Bognetti e Arcari. Anche il Fermano non fu da meno ed ebbe la sua storia di amore e sangue. I personaggi di tale storia non sono molti: Ravennone, figlio del conte di Fermo e sposo di Alerana; Ermifrido, legato alla donna in modo illecito; il padre di quest’ultimo, Spentone; l’abate di Farfa Alperto; il duca di Spoleto Ildebrando1. L’anno in cui la vicenda si svolge è il 787. Fermo, era ormai un ex enclave longobardo, essendo il regno di questi crollato da quasi dieci anni. La storia narrata dal Regesto Farfense si può sovrapporre a tante altre storie di amore e morte del medesimo periodo. Ravennone futuro sposo di Alerana scopre che questa è innamorata di Ermifrido e colto dall’ira e dalla gelosia decide di ucciderla. Così Ravennone dopo aver ucciso Ermifrido, in segno di riconquista del rispetto, esige che Alerata, per risarcirlo del torto subito, indossi l’abito monacale e venga consacrata monaca da un sacerdote, forse per evitare che, secondo l’antico costume romano ed una disposizione in tal proposito di Liutprando, con la semplice veste monastica potesse rimanere semplicemente nella sua abitazione col rischio di un eventuale pretesto e giustificazione per l’oblio dell’abito medesimo e il conseguente invito al peccato. Inoltre, secondo la leges di Liudprando tutto il patrimonio degli amanti doveva essere confiscato2. «perdat omnem substantiam suam, et deveniat ipsam substantia ad potestatem palatii»3. Più generoso Ravennone si dimostra nei confronti della famiglia di Ermifrido. Infatti, decide di restituire il corpo del figlio al padre, Spentone, senza richiedere il riscatto. In tal modo, però, Ravennone rivela di essere l’omicida e anche lui incorre nella confisca del suo intero patrimonio: «Reminiscuntur enim, qualiter iam statuimus: qui hominem liberum occiserit ut res suas in integrum perdat». Anche tale legge fu voluta da Liutprando nel 724 e ribadita nel 7314. Il patrimonio di Ravennone viene spartito tra il duca Ildebrando e all’abate Altperto di Farfa. All’abazia erano andati anche i possedimenti della sfortunata promessa sposa. Ravennone ormai in miseria e cacciato dal suo palazzo decide di indossare l’unico abito che gli potesse permettere di sopravvivere, quello di monaco, proprio come ai tempi del padre aveva fatto il duca Trasmondo II, o come in Francia nel 747 era toccato al fratello di Pipino il Breve, Carlomanno, monaco a Soratte e poi a Montecassino. Ravennone, in questa nuova veste, entra a far parte dei farfensi, i quali avevano acquisito parte dei suoi beni.

1 Regesto Farfense, II, n. 144.

2 Liutprandi Leges, n. 30, I, pp. 122-123.

3 Regesto Farfense, II, n. 144.

4 Liutprandi Leges, nn. 62. VIIII, p. 132.