Quando Monsignor Antonio Staglianò parla, non sembra di ascoltare un teologo arroccato tra i libri, ma un uomo che ha guardato a lungo dentro il cuore umano e che ha scelto, con dolce fermezza, di credere nella sua luce. La riflessione da cui nasce questa pagina, apparsa su Avvenire, affonda le radici in una frase di Giovanni Paolo II che da venticinque anni accompagna il suo cammino: «Il cuore inquieto dell’uomo non può essere educato se non alla luce della Redenzione». Non è un abbellimento, né una citazione accademica: è la sintesi di un’esperienza esistenziale. L’essere umano, anche quando pensa di bastare a se stesso, rimane un mendicante di senso; e quando la sua sete non incontra una risposta, rischia di smarrirsi.
Per Staglianò, educare non è un mestiere né una tecnica: è un atto d’amore. Significa accogliere la domanda profonda che abita ogni persona e risponderle non con un metodo, ma con un incontro — quello con l’Amore che salva. La speranza cristiana nasce qui: non come fuga dalla realtà, ma come forza che illumina e trasforma dall’interno.
Questa visione non è astratta: è radicata nella sua storia personale. Nato il 14 giugno 1959 a Isola Capo Rizzuto, in una Calabria che non concede scorciatoie, impara presto a non temere le domande essenziali. Si forma nei seminari di Crotone, Saronno e Venegono; poi a Roma, alla Gregoriana, dove consegue il dottorato in Teologia Fondamentale. All’Università della Calabria ottiene anche la laurea in Filosofia. Ordinato sacerdote nel 1984, vive il ministero tra aule, parrocchie e incontri con la gente, sorretto dalla convinzione che il Vangelo non si annuncia dall’alto, ma camminando accanto.
Nel 2009 Benedetto XVI lo nomina Vescovo di Noto. Nel 2022 Papa Francesco lo chiama a Roma come Presidente della Pontificia Accademia di Teologia e, successivamente, come consultore del Dicastero per la Dottrina della Fede. Sono segni di fiducia non solo nella sua intelligenza teologica, ma anche nella sua umanità, schietta e vicina.
Da anni Staglianò porta avanti la sua intuizione più originale: la Pop Theology, una teologia popolare, comunicativa, ma rigorosa. “Pop” nel senso più bello: vicina, calda, capace di parlare alla vita concreta senza svilire il Mistero, anzi rendendolo accessibile. Una teologia che si lascia ascoltare, che non allontana ma avvicina. Per questo Staglianò ama ripetere che la croce è “la più alta forma di illuminazione”: non perché il dolore sia un valore, ma perché l’amore di Cristo entra nella notte e la accende dall’interno.
Educare, allora, significa custodire quella luce fragile e potente che abita ogni cuore. Significa accompagnare le persone nel buio e aiutarle a scoprire la parte migliore di sé. Le parole di Staglianò non sono mai solo un discorso: sono un cammino, un invito a ripartire dalla speranza e dalla sete di bene che vive in ogni uomo.
È teologia che respira.
È Pop Theology.

