Roma, 22 ottobre 2025 — Un atto amministrativo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (GDAP n. 0430450.U del 9 ottobre 2025) scatena forti perplessità giuridiche e una dura presa di posizione sindacale: la Federazione Sindacale Indipendente (FSI-USAE) chiede l’immediata revisione in autotutela della disposizione che escluderebbe dalla corresponsione dell’indennità prevista dall’art. 14, comma 1, del D.L. 23 giugno 2023, n. 75 (conv. L. 10 agosto 2023, n. 112) le dirigenti penitenziarie assenti per maternità.
A firmare la missiva inviata ai vertici del Ministero della Giustizia, al Capo del DAP e ad altri uffici istituzionali è il Coordinatore nazionale Dott. Enrico Sbriglia: nella lettera — acquisita e ora al centro del dibattito — si denuncia come la circolare amministrativa assimili impropriamente il congedo obbligatorio di maternità a una “sospensione” del rapporto di lavoro tale da giustificare la sospensione dell’indennità di posizione/funzione. Per la FSI-USAE, si tratta invece di una lettura in palese contrasto con principi costituzionali, norme nazionali e obblighi europei in materia di parità e tutela della maternità.
Il cuore della questione: indennità di posizione vs assenza obbligatoria per maternità
L’indennità prevista dall’art. 14 è pensata come una somma annua «aggiuntiva rispetto agli attuali istituti retributivi», riconosciuta per le specificità e responsabilità connesse all’incarico di direzione. La FSI-USAE sottolinea che essa ha carattere di indennità di posizione e non di natura premiale: è dunque parte integrante della retribuzione correlata alla titolarità dell’incarico.
Nel richiamare una ricca giurisprudenza costituzionale e gli standard europei contro ogni discriminazione (direttive UE, Carta dei diritti fondamentali, CEDU), la lettera ricorda che il diritto alla retribuzione durante il periodo di astensione obbligatoria è sancito dal D.lgs. 151/2001 e che analoghi principi sono già stati interpretati dalla Corte Costituzionale (con riferimenti a sentenze che valorizzano la tutela della maternità anche in termini retributivi).
Il documento cita inoltre orientamenti contrattuali e amministrativi (da CCNL a pronunce ARAN) che impongono il mantenimento delle voci fisse e ricorrenti della retribuzione, compresa la retribuzione di posizione, anche durante i congedi di maternità. Per questo motivo, la circolare GDAP — secondo la Federazione — si pone in netto contrasto con una prassi e una normativa consolidate, configurando una discriminazione diretta nei confronti della dirigente-madre.
Contraddizioni amministrative e profilo di illegittimità
La lettera mette in luce una contraddittorietà interna al Dipartimento: la stessa amministrazione, con una precedente nota (GDAP n. 0148676.U del 2 aprile 2025), aveva affermato che l’indennità andava riconosciuta in relazione alla titolarità dell’incarico di direzione e non per i casi di mera sostituzione. La successiva nota del 9 ottobre, invece, elenca a titolo esemplificativo assenze temporanee (tra le quali l’astensione obbligatoria per maternità) come ragioni di sospensione dell’indennità.
Secondo la FSI-USAE questa incongruenza non è di poco conto: oltre al profilo della violazione di legge e dei diritti costituzionali, sussisterebbe anche il vizio di eccesso di potere e la possibilità di annullamento del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 21-octies L. 241/1990.
Le ragioni dell’allarme: effetti pratici e simbolici
Sul piano concreto, l’esclusione dall’indennità colpirebbe economicamente le dirigenti in maternità, già sottoposte a un vincolo di assenza necessario e obbligatorio. Sul piano simbolico, il provvedimento rischia di trasmettere un messaggio opposto alle politiche pubbliche proclamate in favore della natalità, della parità di genere e della conciliazione tra vita professionale e familiare: «trasformare la diversità biologica in un ostacolo al pieno sviluppo della persona», scrive la Federazione, appare incompatibile con gli obiettivi proclamati dallo Stato e con le misure europee a tutela delle lavoratrici.
La lettera richiama anche il tema della coerenza nella disciplina economica tra Dirigenza penitenziaria e gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, per i quali esistono istituti speciali a favore della maternità.
La richiesta: autotutela e revisione urgente
In conclusione la FSI-USAE chiede formalmente la sospensione degli effetti della nota GDAP n. 0430450.U del 09/10/2025 e la sua riformulazione «in autotutela», cioè con pronta correzione dell’atto amministrativo, al fine di evitare contenziosi e di ripristinare una disciplina conforme ai principi costituzionali, alle direttive europee e alla giurisprudenza nazionale.
La Federazione sottolinea che l’intento non è quello di ingenerare conflitto, ma di offrire un contributo costruttivo a tutela della condizione femminile nell’ambito — già complesso e gravoso — della dirigenza penitenziaria.
Perché questa vicenda interessa tutti
La questione non riguarda soltanto una voce di bilancio o una interpretazione normativa: è un punto di principio su cui si misura la coerenza delle istituzioni con le tutele costituzionali. Se confermata, la circolare avrebbe effetti concreti sulla vita di donne che ricoprono ruoli di alta responsabilità e contemporaneamente esercitano il diritto alla maternità. In un Paese che dichiara di voler incentivare la natalità e la partecipazione femminile al mercato del lavoro, la tenuta di queste tutele costituisce un banco di prova essenziale.
La palla ora passa ai destinatari della missiva — Ministero, DAP e altri uffici competenti — che sono chiamati, con rapidità e senso di responsabilità, a decidere se procedere all’autotutela richiesta o a lasciare aperta la strada a possibili contenziosi giudiziari. Nel frattempo, il dibattito rilancia una domanda chiara: quale modello di tutela della maternità e di valorizzazione professionale delle donne vogliamo realmente sostenere nelle istituzioni pubbliche?
Lettera integrale e riferimenti normativi sono a disposizione presso la segreteria FSI-USAE.
Discriminazione in divisa”: la circolare del DAP che priva le dirigenti-madri dell’indennità di direzione

