Evoluzione Terminologica e Concettualizzazioni Scientifiche

Il termine “queer” presenta una genesi anglosassone, originariamente impiegato nel XIX secolo per riferirsi a individui omosessuali. Inizialmente, il vocabolo veicolava una connotazione di eccentricità, ambiguità e negatività, fungendo da sostituto del termine “freak” per designare deviazioni dalla norma, sia a livello fisico che psicologico, in individui o gruppi. L’etimologia suggerita riconduce al termine teutonico “quer”, traducibile come “diagonale” o “di traverso”.

L’evoluzione semantica del termine è stata significativamente influenzata dal suo ingresso nel discorso accademico. La studiosa di lingue e letterature straniere Teresa de Lauretis introdusse formalmente il termine nella rivista “Differences”, con la pubblicazione dell’articolo “Queer theory. Gay and lesbian sexualities”.

De Lauretis, nell’introduzione del termine “queer” in ambito teorico, ne sottolineò tre intenzioni fondamentali. In primo luogo, un’opposizione all’eteronormatività, ovvero a quelle strutture sociali, culturali e teoriche che tacitamente o esplicitamente pongono l’eterosessualità come modello universale e dominante. In secondo luogo, una volontà di andare oltre la semplice dicotomia “gay/lesbica” nell’analisi degli orientamenti sessuali, evidenziando invece la loro intrinseca fluidità e la molteplicità delle identità possibili. Infine, De Lauretis poneva l’accento sulla centralità della categoria di “razza” nel processo di costruzione della soggettività sessuale, proponendo un’analisi che tenesse conto delle intersezioni tra questa dimensione e quelle del genere e della sessualità nella formazione dell’identità individuale.

De Lauretis propose che la “teoria queer” offrisse un quadro per “rielaborare o reinventare i termini della nostra sessualità, di costruire un altro orizzonte discorsivo, un altro modo di pensare il sessuale”.  

Gli studiosi che adottano la prospettiva queer evidenziano come le categorie di “femminile” e “maschile”, quando ancorate unicamente a criteri di naturalità biologica, risultino limitanti. Questa impostazione teorica pone l’accento sulla costruzione simbolica, storica e sociale del genere, distinguendolo dal sesso biologico.

L’analisi queer focalizza l’attenzione sul potere delle differenze individuali e sulla critica delle norme sociali che tendono a marginalizzare le identità non conformi.

A partire dagli anni Novanta, il termine “queer” è stato impiegato per designare individui le cui identità sessuali e/o di genere non si allineano con le categorie binarie convenzionali.

In Italia, l’adozione e la discussione della teoria queer hanno seguito una traiettoria specifica. Inizialmente, il termine veniva talvolta utilizzato come sinonimo dell’acronimo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender), mentre in altri contesti poteva rappresentare una distinzione dalle etichette identitarie consolidate.

Tuttavia, negli anni più recenti, parallelamente all’attività di diverse organizzazioni per i diritti civili, si è osservata una tendenza all’impiego di “queer” come termine inclusivo di categoria superiore. Questa evoluzione concettuale mira a superare le dicotomie non solo di genere, presenti a livello sociale attraverso le norme culturali relative al genere, ma anche sessuali, all’interno della stessa comunità LGBT.

L’emergere di modelli di identità di genere che trascendono i soli fattori biologici e le interpretazioni di ruoli ed espressioni ha contribuito alla diffusione e alla ridefinizione del termine “queer” nel contesto italiano.

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